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Libertà di stampa e diritto di informare: due diritti in sofferenza? (Versione completa)

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Un breve saggio su un “diritto insopprimibile” e le minacce tese a scardinarlo
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Gino Falleri. Laureato in Giurisprudenza, è iscritto all’Albo dei giornalisti pubblicisti del Lazio dal 1957. Ha iniziato a Il Messaggero di Roma, poi al Momento Sera, Il Giornale d’Italia, Italia Sera, l’Opinione, Il Globo, e ha collaborato con l’agenzia di stampa ASCA e con il GR2 della Rai. Ex segretario generale aggiunto della FNSI e membro della Giunta della Federazione nazionale della stampa; dal 1987 è presidente del Gruppo giornalisti uffici stampa e anche presidente dell’Unione giornalisti per l’Europa federale. È socio fondatore e consigliere dell’Eurispes. Il 20 maggio 2013 è stato rieletto alle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale dei giornalisti del Lazio e poi è stato eletto dal nuovo Consiglio regionale dell’Ordine, vicepresidente dell’Ordine regionale dei giornalisti del Lazio.
È stato docente di diritto all’informazione e giornalismo presso alcuni atenei italiani, tra cui: Luiss, Università di Pisa Università di Cassino, Polo didattico di Sora, nonché dell’Institute for Global Press. E’ stato inoltre docente incaricato all’Università del Foro Italico. E’ presidente dell’Eapo&IC.

Libertà di stampa e diritto di informare: due diritti in sofferenza?

1. La cinematografia molte volte è la trasposizione della realtà. Avvenimenti recenti o passati portati sullo schermo affinché non siano dimenticati. Cronaca e storia i più gettonati, ma non mancano film sul giornalismo ed il più famoso resta Quarto potere di Orson Welles proiettato nel 1949. Non meno conosciuto ed apprezzato è anche L’ultima minaccia del 1952 diretto da Richard Brooks, un ex giornalista. Il regista americano ha rievocato un fatto realmente accaduto, che riguarda sia la libertà di stampa che la lotta alla criminalità.
La pellicola ha come protagonista il cronista Ed Hutcheson, interpretato da Humphrey Bogart, che nei fotogrammi finali pronuncia una battuta, nei confronti di chi voleva impedirgli di informare l’opinione pubblica in merito alla vendita di un quotidiano e del perché lo si voleva vendere, che ha fatto il giro del mondo occidentale e sovente viene riesumata per sottolineare l’importanza della stampa libera in una società democratica e pluralistica: “E’ la stampa, bellezza! La stampa! E tu non puoi farci niente!”.
I giornalisti americani non sono riverenti nei confronti del Potere poiché la stampa, come ha voluto ribadire il New York Times dopo lo scandalo del Watergate Hotel (1972), portato alla luce da due cronisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, deve “servire i governati e non i governanti”. Evento che più tardi è diventato soggetto di alcun pellicole e la più nota è “Tutti gli uomini del presidente” del 1976 a firma di Alan J. Pakula.
Non sono nemmeno teneri nei confronti dei colleghi che violano le regole deontologiche. Ne hanno poche, ma chiare. Un solo codice deontologico approvato nel 1996 e sostituisce quello etico del 1926. Non chiedono biglietti per assistere a spettacoli teatrali e cinematografici, per eventi sportivi e non accettano passaggi sull’aereo del presidente degli Stati Uniti e tanto meno gradiscono inviti a colazione (1). Il giornalista deve essere indipendente poiché è il responsabile della corretta informazione. Per la regola delle tre “I”, oltre ad essere indipendente deve anche essere indisponente ed impertinente.


2. Il mondo dell’informazione, inteso come mezzi di comunicazione ed addetti, sta attraversando da alcuni anni una profonda crisi, legata in parte a quella economica, e al momento non si hanno appropriati elementi per pronosticare quando potrà terminare. E’ generale e ha investito pure i paesi anglosassoni. Negli Stati Uniti, come ha messo in risalto una analisi della American Society of News Editors, in un anno è andato perso il 10,4% della forza lavoro. In pratica sono usciti dalla linea produttiva 3800 giornalisti. Gli attivi nel 2014 erano meno di 33mila reporter.
La Bbc (British Broadcasting Company), la televisione britannica fondata nel 1922, ha in programma il taglio di 1000 posti di lavoro e una drastica riduzione delle spese correnti per continuare a dare corpo e sostanza all’informazione, mentre in Germania i giornali editi e diffusi a Berlino perdono copie ed abbonamenti. Sempre nella Repubblica federale Der Spiegel, un autorevole settimanale edito ad Amburgo, ha in cantiere una ristrutturazione che prevede licenziamenti sia per tecnici, amministrativi e giornalisti (2).
Da noi la situazione non è migliore ed investe pure gli istituti di previdenza e di assistenza sanitaria integrativa. Si assiste impotenti alla chiusura di antiche ed autorevoli testate. Una di queste è Il Corriere Mercantile di Genova fondato nel 1824 e dal quale sono usciti Giulio Anselmi, Maurizio Costanzo e Paolo Garimberti, giornalisti quanto mai noti all’opinione pubblica.
Le cause sono molteplici. La prima, come accennato, è costituita dal rallentamento dell’economia occidentale, soprattutto quella dell’Unione europea, per poi passare alla fine del triangolo editore-pubblico-inserzionista, su cui ha posto l’attenzione Clay Shirky, un docente universitario americano ed esperto di media, con un saggio pubblicato sulla Columbia Journalism Review, e non ultima dall’introduzione delle tecnologie sempre più avanzate e sofisticate, che riducono o sostituiscono l’apporto dell’uomo. Con il loro inserimento nei processi lavorativi la professione di giornalista da alcuni anni, come ha di recente segnalato Gianni Rossi di Articolo 21, sta “subendo una trasformazione epocale. La nascita del citizen journalist ha decretato la fine del giornalismo tradizionale”.
Il “citizen journalist” ha senz’altro impresso una svolta alla professione, ma a decretare il tramonto del giornalismo tradizionale è l’avvento del digitale, che ha messo in crisi il giornale. Inizialmente è stato sottovalutato poiché era considerato un segmento di quello cartaceo. Con il passare del tempo la realtà si è dimostrata ben diversa. E’ l’altra faccia della medaglia. E che il digitale sia l’avvenire lo attesta pure il bando lanciato dalla Digital News Initiation per sviluppare progetti nel giornalismo digitale. Sono stati messi a disposizione 150 milioni di euro per i partecipanti. Il destino della carta stampata, come ha sottolineato Richard Tofel presidente di ProPubblica e già assistant publisher del Wall Street Journal, è più vicina al capolinea di quanto si voglia far credere (3).
Francesca Sannazzaro sul numero1/2 del 2015 di Icsmagazine ha riportato una intervista rilasciatale da Steve Duenes, l’attuale grafic director del New York Times e vincitore del premio Pulitzer per “Snow Fall”. Secondo il suo parere, oltre a sottolineare che il futuro è riposto nel digitale, è necessaria una qualificazione professionale adeguata allorché si raccontano le “storie” tramite i media digitali: occorre che ci sia un rapporto tra forma e sostanza. Una maniera diversa nello scrivere e nel presentare il “pezzo” al lettore. Cosa vuole significare in breve sintesi? Una professionalità di alta qualificazione per essere in linea con l’evoluzione tecnologica al fine di fornire prodotti che possono essere apprezzati dall’opinione pubblica.
La crisi ha finora prodotto la caduta delle vendite (secondo i dati forniti dall’ADS sono stati persi 3 milioni di lettori paganti), la riduzione delle inserzioni pubblicitarie, la contrazione dell’offerta rispetto alla domanda, che aumenta per la costante crescita degli iscritti all’albo, e il calo degli interventi pubblici di sostegno. Ce ne sono pure delle altre non adeguatamente soppesate e valutate dalle istituzioni della professione. Una di queste riguarda il numero degli attivi rispetto a quello di coloro che mostrano flebili interessi, posto in risalto dall’ultimo rapporto stilato da Lsdi (105.634 iscritti all’albo al 31 dicembre 2014, 50.488 attivi, il 64,6% costituito da autonomi e reddito zero per 4 giornalisti freelance su 10) (4).
Il sistema dell’emittenza locale non naviga in buone acque, le agenzie d’informazione temono una loro riduzione per la contrazione dei contributi pubblici, le riorganizzazioni redazionali stanno incrementando il numero dei freelance (5) ed irrisolto è il problema dell’equo compenso, che ha dalla sua l’articolo 36 della Carta costituzionale. Da non dimenticare che l’Italia rispetto agli altri paesi dell’Unione ha il maggior numero di giornalisti e questo aumenta in maniera esponenziale. Sull’incremento ha il suo peso il riesame intramoenia dei provvedimenti adottati dai Consigli regionali. Nella quasi totalità sempre positivi per i ricorrenti con interpretazioni evolutive ed innovative mentre la legge sull’Ordinamento della professione è rimasta immutata dal giorno della sua proclamazione.
Il quesito cui bisognerebbe dare una risposta riguarda le competenze e i poteri del Consiglio nazionale. Se ha la facoltà di non attenersi alla legge per rispondere alle esigenze della professione, nonché ai nuovi modi di informare introdotti dalla tecnologia, o più appropriatamente se può sostituirsi al legislatore invocando l’autonormazione. Per facilitare l’accesso al registro dei praticanti ha introdotto più di una novità. L’ultima è costituita dal “Ricongiungimento”, fuori dagli ambiti dell’articolo 20 della 69/63, a favore dei pubblicisti free lance che non hanno avuto la possibilità di trovare un editore che li abbia assunti e fatti iscrivere al citato registro.
Provvedimenti non sottoposti al vaglio del ministero della Giustizia, che ha competenza sulle professioni, e non risulta inoltre che siano stati oggetto di interventi censori da parte della magistratura inquirente. In uno stato di diritto qual è il nostro il richiamo al rispetto dell’ordinamento e della giurisprudenza della Cassazione è essenziale. Da possibili censure non sono esenti, sempre in materia di accesso al registro dei praticanti, nemmeno quelli adottati dai Consigli regionali.
L’interpretazione dell’articolo 34 è di competenza della magistratura giudicante e del Parlamento. Nel luglio 2014 le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ribadito che il citato articolo della legge 69/63 è tuttora vigente nella struttura voluta dal legislatore. Sulle modalità dell’accesso potrebbero esserci delle novità poiché c’è l’impegno a rivedere le regole delle professioni compresa quella giornalistica.
Non ultima i rischi cui quotidianamente vanno incontro i giornalisti per informare. Questi aumentano giorno dopo giorno e sono costituiti da aggressioni, danneggiamento di beni, intimidazioni, minacce, citazioni in giudizio con richieste milionarie per danni all’immagine e alla reputazione, nonché omicidi. Ora si aggiunge il reato di ricettazione non imputabile direttamente al giornalista, ma all’editore. E questo per conoscere le fonti confidenziali e forzare l’articolo 200 del codice di procedura penale che tutela il segreto professionale dei giornalisti (6). In controtendenza alle sentenze della Corte di Strasburgo e alle risoluzioni e raccomandazioni dell’Unione europea. La ricettazione è un reato quanto mai grave e comporta la reclusione fino ad otto anni.
Tutto mirato a limitare la libertà di stampa e a scardinare quel diritto “insopprimibile” di informare e di critica, che i giornalisti hanno per volontà dell’articolo 2 della legge sull’Ordinamento della professione, la 69/63. Diritto non adeguatamente tutelato dalle nostre autorità, che ha indotto il Consiglio dell’Unione Europea all’inizio del 2015 a richiamare l’Italia a meglio “garantire la libertà di stampa e di informazione”.
Sono le cronache quotidiane a riferire in quali condizioni, e a quale prezzo, i giornalisti esercitano il diritto di informare. Sembra leggere un bollettino di guerra. Portare alla luce la verità sugli affari pubblici, sulla gestione della res publica, sui traffici illegali e sugli intrighi di Palazzo, nonché sulla corruzione, sulle collusioni, sulle connivenze, sul non rispetto della legge per interessi personali o sul narcotraffico è oltremodo scomodo. Può riservare non piacevoli sorprese e lo stesso può accadere se si esprimono, nonostante la vigenza dell’articolo 21 della Costituzione, opinioni non omogenee con i convincimenti della maggioranza.
E’ sufficiente collegarsi con il giornale online Giornalisti Italia, diretto da Carlo Parisi, o con la Newsletter della Fnsi o con Ossigeno per l’informazione per avere una copiosa documentazione a 360 gradi sulla situazione. Non solo nazionale. I giornalisti in quasi tutte le latitudini del Pianeta non godono di molta simpatia. Vengono persino sgozzati dagli adepti dell’Isis, che distruggono impunemente le antiche vestigia della civiltà, come il tempio di Bell nel sito archeologico di Palmira, o eliminati per le inchieste sul narcotraffico o per la tutela dei diritti umani.
Al riguardo si ricordano l’irlandese Veronica Guerin, assassinata nel 1996 a un incrocio della periferia di Dublino, e la russa Anna Politkovskaja, trovata nel 2006 uccisa nell’androne della sua abitazione, nonché Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutoli a loro volta assassinate in Somalia e in Afghanistan. Non sono inoltre da dimenticare i giornalisti caduti sotto i colpi delle organizzazioni malavitose.
Sul fronte dei rischi non c’è purtroppo solo quanto è stato finora riferito. Si può persino andare in galera con l’accusa di evasione fiscale ed appropriazione indebita. E’ il prezzo che sta pagando la giornalista Khagija Ismayilova per i suoi articoli, con i quali ha denunciato le anomalie della condotta del presidente dell’Azerbaijan.
Una tale situazione ha spinto la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) a lanciare la campagna mondiale 2015 per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti. Le zone più calde il Messico, le Filippine, l’Ucraina e lo Yemen. Non meno bollente la Turchia di Erdogan, dove l’informazione è sotto il microscopio delle forze dell’ordine e i rischi per i giornalisti sono altissimi.
A preoccupare le istituzioni della categoria non sono solo i livelli occupazionali, le trasformazioni in atto e i possibili scenari di domani. C’è dell’altro. E questo potrebbe incidere in maniera negativa sul diritto di informare. Negli anni Ottanta del secolo passato, alcuni lo ricorderanno, è andata in onda una miniserie televisiva intitolata “Venti di guerra”, interpretata da Robert Mitchum e diretta da Dan Curtis. Una anteprima sul secondo conflitto mondiale, iniziato il 1° settembre 1939 con l’invasione della Polonia da parte della Germania e terminato nell’agosto 1945 con la resa del Giappone.
Il titolo della miniserie può essere preso a prestito per segnalare che da qualche tempo stanno soffiando forti venti contro la libertà di stampa, termine usato per la prima volta nel 1735 dall’avvocato Andrew Hamilton davanti a una Corte di giustizia di New York nell’arringa difensiva a favore di John Peter Zenger, direttore del settimanale The New York Weekly Journal, nel processo intentatogli dal governatore inglese della colonia William Cosby. Questi voleva conoscere il nome dell’autore degli articoli irridenti e critici che lo avevano da qualche tempo come oggetto per la sua non lineare amministrazione. Zenger aveva frapposto quello che oggi si chiama segreto professionale con la conseguenza della detenzione e del processo.
Diritto inserito dalla Svezia nel 1766 nella sua Costituzione e successivamente dallo Stato della Virginia (1777), dal Massachusetts (1780), dalla Francia (1789) e nel primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (1791). Più tardi dalla Norvegia (1814), dai Paesi Bassi (1815), dal Portogallo (1820), dal Belgio (1831), dalla Danimarca e Italia (1848), dall’Austria (1867) e dalla Germania (1874).
Informare, portare a conoscenza della collettività fatti ed eventi, od esprimere opinioni, incomincia purtroppo ad alimentare la nascita movimenti non favorevoli. Nel Continente europeo, come è stato sottolineato ad Albacete durante il convegno su “Rights & Jobs in journalism: labour, rights for journalists” organizzato dalla European federation of journalists, cresce la voglia di limitare la libertà di espressione e il diritto di cronaca. Due pilastri della società democratica. Anche da noi, comunque non da ora, emergono di tanto in tanto atteggiamenti che attesterebbero un inconfessabile desiderio di imbrigliare la stampa e di conseguenza la libera informazione.
Gli esempi più calzanti sono costituiti dalla ley mordaza spagnola e dalle nuove regole che si ritiene di dover introdurre sulle intercettazioni telefoniche, nonché per le deleghe in bianco da conferire al governo sulla materia. Norme illiberali, che hanno fornito lo spunto a Stefano Rodotà, già al vertice dell’Autority per la privacy, per lanciare un Appello, al quale hanno aderito giornalisti e rappresentanti della società civile, affinché siano introdotti correttivi nella legge proposta dal Pd e dal Ncd, e caldeggiata dall’attuale governo (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi).
Preoccupante e limitatrice del diritto di informare una recente iniziativa della Polizia di Stato di Roma, che ha spinto il Sindacato cronisti romani ad intervenire a difesa del diritto di cronaca. Per rispettare le direttive dell’autorità giudiziaria non è stata riferita ai giornalisti la notizia di un omicidio, limitando così il diritto di essere informati. Ad aggravare la situazione ci sono pure i cosiddetti editti bulgari non inediti del governo in carica nei confronti dei giornali troppo critici. Atteggiamento che non è passato sotto silenzio provocando la reazione della Fnsi, che ha affermato che “mettere alla berlina i giornali e i giornalisti scomodi, agitando bavagli più o meno mascherati, è tipico dei regimi” (7).
Non meno preoccupante è quanto sta avvenendo in Polonia. Il nuovo governo di centrodestra non è a favore degli editori tedeschi, che a suo parere influenzerebbero l’opinione pubblica e di qui iniziative per attenuarne l’influenza (8). Nello stesso tempo ha nominato i nuovi vertici della tv e della radio pubbliche, mandato a casa alcuni giornalisti ed anchorman e chiuso programmi televisivi non in linea con la sua politica. Una situazione che sta allarmando le istituzioni di Bruxelles, soprattutto in considerazione che il governo di Varsavia controllando l’informazione potrebbe manipolare l’opinione pubblica (9).
Come andrà a finire è non è facile anticiparlo. L’unica cosa certa è che i giornalisti sono sotto scacco. Il Comitato per la protezione dei giornalisti, con sede a New York, ha di recente sottolineato che l’Unione europea “non fa abbastanza per difendere la libertà di stampa, laddove essa è attaccata, nei 28 Paesi dell’Unione, in particolare nell’Ungheria di Viktor Orban”. E questo pur essendo in vigore la Risoluzione approvata nel 2013 dal Parlamento europeo sulla libertà di stampa e dei media nel mondo.
Il testo di modifica al processo penale e le deleghe da conferire sulle intercettazioni hanno provocato, e non poteva essere altrimenti, l’intervento dei giuristi, che hanno esaminato e valutato la proposta di legge caldeggiata dai due citati partiti politici mettendo in risalto le sue anomalie. Ha iniziato Vladimiro Zagrebelsky con un articolo pubblicato il 24 settembre 2015 su La Stampa intitolato “Intercettazioni, quando è giusta la pubblicazione” e successivamente è intervenuta Caterina Malavenda, che sul Corriere della Sera del 30 settembre 2015 ha espresso le sue valutazioni con un articolo su “Intercettazioni, nessun segreto se c’è il diritto di cronaca”. Ai giuristi si è aggregato pure qualche cattedratico come Nadia Urbinati con un “pezzo” pubblicato su la Repubblica del 26 settembre.
Ci debbono essere dei limiti al diritto di cronaca, nonostante che il già richiamato articolo 2 affermi solennemente che è “diritto imprescindibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica”? Un interrogativo che dovrebbe avere una risposta. Se non altro perché oltre al diritto di informare e di essere informati esiste pure un interesse generale nazionale da tutelare.
Risposta che tenga conto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che più volte è intervenuta sull’articolo 10 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni). La Corte si è di recente espressa di nuovo con due decisioni a favore dei giornalisti: caso Morar contro la Romania e l’Affaire Koutsoliontos et Pantazis con la soccombenza della Grecia.
La nostra Costituzione tramite l’articolo 21 afferma che “Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.  Kant ha a suo tempo sottolineato che la libertà di pensiero è “la capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”. Non una libertà senza limiti. Questi sono costituiti dai reati d’opinione, da depennare dall’attuale codice penale firmato da Mussolini e Vittorio Emanuele III, e da quelli contro la morale e dai segreti che a vario titolo vengono imposti.
Non pochi sono stati i giornalisti condannati senza la condizionale, quindi incarcerati, per i cosiddetti reati di opinione pur essendo vigente il citato articolo. La serie inizia con Giovanni Guareschi per poi continuare con Francesco Tolin, Calogero Venezia, Stefano Surace, Lino Jannuzzi, Gianluigi Guarino, Alessandro Sallusti e Francesco Gangemi. In corso c’è il processo a carico del direttore di un settimanale e di un suo redattore.
Nella delicata materia delle intercettazioni telefoniche, da anni terreno di scontro tra Destra e Sinistra, dovrebbe esistere un equilibrio tra privacy e diritto di informare. Soprattutto una corretta applicazione dell’articolo 6 (essenzialità dell’informazione) del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.


3. Senza alcuna intenzione di voler scomodare a supporto Thomas Jefferson, uno dei primi presidenti degli Stati Uniti e capostipite del partito Democratico, e la sua opinione sullo Stato ed i giornali (10), espressa in una lettera inviata nel gennaio 1787 all’amico Edward Carrington, è indubbio che l’informazione e il pluralismo siano una componente essenziale, fondamentale e irrinunciabile della società democratica. Per questo motivo la difesa del diritto di informare, nonché quello di essere informati, costituisce una priorità assoluta. Joseph Pulitzer, uno dei grandi del giornalismo anglosassone, ha asserito che i giornalisti sono delle sentinelle. Vigilano affinché non ci siano attentati alle istituzioni democratiche.
Tuttavia non può essere omesso di riferire che la strada per conferire diritto di cittadinanza prima alla libertà di stampa e più tardi al diritto di informare sia stata lunga, tortuosa e disseminata di ostacoli come quella per arrivare a Tipperary (11). Punto di partenza Gutenberg, il tipografo di Magonza, con i suoi caratteri mobili e soprattutto con l’inchiostro. Senza la sua invenzione l’umanità sarebbe ancora nel buio culturale. Nell’impossibilità di sapere, di scambiarsi le esperienze, di conoscere i modelli di governo, i diritti reclamati e accordati, l’evoluzione delle scienze e di far circolare le idee.
L’uomo è uscito dalle tenebre dell’ignoranza e dalle superstizioni del Medioevo, come ha sostenuto Francis Bacon, un filosofo inglese vissuto a cavallo tra il Cinquecento e Seicento, capostipite dell’empirismo e precursore dell’industria del raffreddamento per l’esperimento del pollo, grazie a tre scoperte: la bussola, la polvere da sparo e i caratteri mobili.
L’impiego dei caratteri mobili hanno consentito di stampare e diffondere le Gazzette, l’embrione del quotidiano, talvolta in livrea per compiacere le autorità (limitato diritto di cronaca), e successivamente i primi giornali di informazione o a tiratura popolare come The Sun di Benjamin Davis, messo in vendita a New York nel 1833 ad un penny.
La “Popular press”, fondata sulle tre “S” (scandali, sesso e soldi), e la “Quality press” consentono di aprire una parentesi storica sull’evoluzione delle figure professionali, che hanno contribuito e contribuiscono alla formazione del prodotto giornale, la preghiera mattutina dell’uomo moderno secondo l’aforisma di Hegel, altro filosofo.


4. La redazione di un giornale per confezionare il suo prodotto non si avvale solo della professionalità dei redattori, cronisti, corrispondenti, informatori e la ripresa dei lanci delle agenzie per diffondere le notizie di interesse collettivo. Richiede pure quella degli inviati poiché il giornalismo si realizza, come è noto, attraverso tre verbi: andare, vedere e raccontare. Ed è inoltre il giornalista ad essere il giudice dell’utilità sociale della notizia.
Per la storia il capostipite degli inviati, un tempo chiamati redattori viaggianti, è stato l’irlandese William Howard Russell del Times di Londra. Con i suoi pezzi dalla Crimea ha riferito, siamo al giro di boa dell’Ottocento, non solo sulle operazioni militari, ma soprattutto sulle condizioni in cui vivevano i soldati inglesi, sull’incapacità degli ufficiali e descritto la carica della Brigata Leggera a Balaclava.
Lo spunto per un film del 1936 diretto da Michael Curtiz ed interpretato da Errol Flynn. E sempre sull’azione della Brigata Leggera qualche anno addietro è stato pubblicato un libro di Cecil Woodham Smith, intitolato “La Carica dei 600” edito da Rizzoli, che offre un quadro quanto mai esauriente dell’accaduto.
Servizi dal fronte più volte contrastati e censurati – la censura è una specie di spada di Damocle che ha sempre accompagnato l’informazione – perché mettevano in risalto le negligenze, gli errori e i lati negativi dell’organizzazione militare britannica. E tra questi c’erano pure le condizioni igieniche in cui viveva il corpo di spedizione e in particolare la sanità, nonostante l’abnegazione di Florence Nightingale, considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.
I giornali strada facendo, con l’introduzione di nuove tecnologie, per stimolare l’interesse e la domanda, si sono arricchiti di immagini. Non solo quelle fornite dai disegnatori, bensì delle istantanee dei fotoreporter.  Il primo fotografo di guerra è stato l’inglese Roger Fenton, non neutrale. Ha inviato dalla Crimea immagini edulcorate. Sempre sullo stesso fronte era pure presente un fotografo italiano, Felice Beato, unitamente al suo socio James Robertson.
In tempi più recenti grandi fotografi nelle zone di guerra sono stati Joe Rosenthal con la bandiera a stelle e strisce issata nel febbraio 1945 sulla vetta del Suribachi, la montagna dell’isola Iwo Jima, nonché Robert Capa per le dure e sfocate immagini della spiaggia normanna chiamata in codice di Omaha. Su cui si è infranta e quasi annientata, all’alba del 6 giugno 1944, il D-Day, la prima ondata dei soldati del 5° Corpo d’Armata americano.
Durante la guerra in Vietnam erano presenti gli italiani Gianfranco Moroldo e Romano Cagnoni ed è inoltre da ricordare Mick Ut, pseudonimo di Huynh Cong Ut, per la fotografia di Kim Phuc. Ritrae una bambina vietnamita nuda ed in lacrime per via degli effetti del napalm lanciato dagli americani sul villaggio dove viveva, che ha fatto il giro del mondo, come peraltro quella del fotogiornalista americano James Nachtwey con un bambino in braccio, con la quale si è voluto attestare l’atrocità della guerra civile in Ruanda.
La storia del giornalismo ha pure registrato la sequenza degli scoop e quale è da considerare il primo. Il primato va ai redattori del Pennsylvania Evening Post. Nel 1776 hanno anticipato la “Dichiarazione di indipendenza delle colonie inglesi d’America”. Non tutti concordano sull’attribuzione. Ritengono che dovrebbe invece essere riconosciuto ad alcuni giornalisti del Belfast News Letter. E sempre in materia di scoop non si può non ricordare quello realizzato da Edward Kennedy dell’Associated Press. Ha informato, anticipando gli altri corrispondenti di guerra, dandogli un buco come si dice nel gergo giornalistico, che la Germania si era arresa agli Alleati e in Europa la guerra era finita. Firma apposta a Reims il 7 maggio 1945.


5. La libertà di informare inesistente nelle società “ademocratiche” ha avuto nel nostro Paese dalla promulgazione dello Statuto e dell’Editto Albertino (1848), non considerando i 21 anni del fascismo ed il pensiero unico, luci ed ombre, alti e bassi. Molte delle leggi che hanno regolato in passato la libertà di stampa hanno origine dalla riforma liberale di Giovanni Giolitti e negli anni Venti del Novecento abrogate dal regime fascista e sostituite con altre meno tolleranti (12).
Le annuali relazioni di Freedom House e di Reporter sans frontiéres non hanno finora visto l’Italia collocata, per una molteplicità di ragioni, nei primi posti delle classifiche. L’ultima, quella del 2014, la inserisce al 73° posto per “le intimidazioni da criminalità e politica”. Giudizio severo, che non tiene conto della circostanza che i giornalisti mostrano di avere poca soggezione della “politica”, anche se l’intero sistema ha beneficiato e beneficia delle risorse pubbliche e queste le stabilisce la “politica”. Unico esempio contrario Il Fatto Quotidiano. Non chiede contributi.
Sulle risorse pubbliche destinate alla stampa è opportuno ricordare che i governi dall’Unità d’Italia (1861) fino alla Grande Guerra (l’Italia è entrata nel conflitto il 24 maggio 1915) hanno aiutato solo i giornali amici mentre hanno relegato all’angolo gli altri ed imposto persino la censura, nonostante le proteste e le rimostranze della Federazione nazionale della stampa. Dato che è stato accennato alle intercettazioni telefoniche è bene sapere che gli esecutivi dei primi anni del Novecento – guidati da Saracco, Zanardelli e Giolitti – avevano l’abitudine non solo di far registrare le conversazioni di Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera, con la redazione romana, ma cercavano persino di intercettare la sua corrispondenza.
Giovanni Giolitti ha utilizzato il suo capo ufficio stampa, durante i periodi in cui è stato presidente del Consiglio, per impartire ordini alla stampa.  Crispi e Pelloux, anch’essi primi ministri, a loro volta non hanno omesso di controllare la libera informazione, come peraltro sono da registrare interventi e sollecitazioni da parte della Casa regnante ogni qualvolta i giornali riportavano notizie non gradite. Silvio Spaventa, segretario generale del ministero dell’Interno, aveva il vezzo di schedare giornalisti e proprietari dei giornali d’opposizione. Istruttivi i libri di Mauro Forno e Giancarlo Tartaglia (Informazione e potere, Un secolo di giornalismo italiano).
Anche oggi, in piena democrazia, si origlia, si intercetta. Tempo addietro Flavio Pompetti  ha pubblicato su Il Messaggero (29 giugno 2015)  una intervista rilasciata da Ian Bremmer, un analista politico ed esperto di Intelligence americano, dall’emblematico titolo “Tutti i leader sono spiati”.
Nella società democratica, multietnica e pluralistica il diritto di informare e di essere informati, nonché quello di informarsi, non possono essere limitati da leggi e regolamenti, tanto meno soppressi. Cicerone nel De Oratore ha asserito che occorre ricordare la storia per meglio capire il presente. La storia del Novecento non è stata avara di avvenimenti traumatici e non rispettosi delle regole democratiche (comunismo, fascismo, nazionalsocialismo e franchismo). E il primo provvedimento di chi saliva al potere con la forza è sempre stato quello di sottoporre la stampa al ferreo controllo della censura.
Il diritto di informare, è bene sottolinearlo, non è esplicitamente espresso nella nostra Costituzione mentre lo è in altre di più recente generazione. L’articolo 21 lo contiene in nuce ed è un diritto di libertà. In primis è una costruzione dottrinaria, il cui capostipite è il costituzionalista Aldo Loiodice (Contributo allo studio sulla libertà di informazione, anno 1967) e a seguire docenti universitari della caratura di Vezio Crisafulli e Costantino Mortati, nonché giurisprudenziale.
Dottrina e giurisprudenza hanno fatto si, come ha affermato Ruben Razzante, docente all’Università Cattolica di Milano, “che la libertà di manifestazione del pensiero si declinasse, inizialmente come libertà di opinione, poi come diritto di cronaca, quindi come diritto di informare e diritto di informarsi”(13).
E’ stata la Corte Costituzionale sulla base della dottrina e dei documenti internazionali a riconoscere, con una serie di sentenze, che esiste il “diritto di informare” di competenza dei giornalisti, unitamente ai diritti di essere informati e di informarsi, che sono invece propri del cittadino. Un diritto, il primo, che fonda le sue radici in quelli umani di prima generazione (Human rigths), spesso chiamati “diritti blu”, e tra questi c’è appunto la libertà di parola, la quale a sua volta presuppone la libertà di scrivere.
Una libertà reclamata nel 1644 da John Milton con un discorso al Parlamento inglese, l’Areopagitica, affinché fosse consentito di stampare senza licenza. Avere il diritto, ovvero la libertà, di far circolare libri senza il bollino dell’autorità. Privi del placet della censura libraria quanto mai oppressiva e rigorosa. Un diritto osteggiato da più parti. I cittadini inglesi per avere la libertà di espressione dovevano attendere la Gloriosa rivoluzione, Guglielmo d’Orange, “Il secondo trattato sul Governo” di John Locke e il Bill of Rights.


6. La libertà di esprimere le proprie idee ha antiche radici ed il primo esempio è la Grecia, la patria della democrazia. Nel tempo è stata rivendicata, a vario titolo, da scrittori, scienziati e filosofi. Nei primi quaranta anni del Novecento non tutti i paesi dell’Europa continentale erano dotati di ordinamenti volti a tutelare sia la libertà di stampa che la libera manifestazione del pensiero. Nei paesi a conduzione unica, e a questi ci si riferisce, l’informazione era ridotta a strumento di propaganda per promuovere il consenso. Per indottrinare.
La genesi della svolta autoritaria è da ricondurre per una serie di motivi alla Grande Guerra (1914/1918), che è stata un mattatoio, ed al trattato di Versailles, che non ha prodotto i risultati auspicati (14). Anni che hanno visto prima il tracollo militare della Russia, la Rivoluzione di Ottobre, l’avvento del bolscevismo e del comunismo mentre gli anni Venti e Trenta sono stati a loro volta spettatori dell’entrata in scena del fascismo e a seguire del nazionalsocialismo e del franchismo, nonché l’inizio di quell’altro mattatoio che è stata la seconda guerra mondiale.
La non democrazia, la non partecipazione dei cittadini alle attività socio-politiche, aveva originato una situazione che non poteva essere tollerata dalle nazioni di antica matrice liberale. Così gli Alleati, prima ancora della conclusione del conflitto, le istituzioni internazionali, una è stata l’Onu, nonché quelle europee a guerra conclusa, hanno iniziato a porre la loro attenzione sull’importanza dell’informazione nella società democratica, a stabilire regole per la libertà di stampa e a gettare le fondamenta del diritto di essere informati, che avevano come modello i provvedimenti adottati negli ultimi anni del Settecento dalla Francia e dagli Stati Uniti.
Il primo contributo potrebbe essere considerato la Carta Atlantica, sebbene sia solo un atto diplomatico, sottoscritta nel novembre 1941 a bordo della Prince of Wales ancorata nella baia di Argentia, a Terranova, da W. Churchill, primo ministro dell’Inghilterra, e F. D. Roosevelt, presidente degli Stati Uniti, sulla autodeterminazione dei popoli. Nel 1945 c’è stata la Conferenza straordinaria panamericana di Città del Messico con la sottoscrizione dell’atto di Chapultepec, tramite il quale è stato raccomandato che venisse stabilito il principio della libera emissione e ricevimento delle notizie, senza la necessità di una censura preliminare.
Nel dicembre 1946 è intervenuta l’assemblea generale dell’Onu –  il 25 aprile 1945 a San Francisco erano state gettate le fondamenta dell’Onu che ha sostituito la Società delle Nazioni, la cui istituzione era stata caldeggiata negli anni Venti da Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti – che ha approvato la “Risoluzione 59”, con la quale è stato fissato il principio che la libertà di informazione è un “diritto umano fondamentale”. Un tale diritto conferisce la facoltà di raccogliere, trasmettere e pubblicare notizie in qualsiasi posto e senza alcun impedimento.
Sempre sulla libertà di stampa, ed implicitamente sul diritto di informare e di ricevere informazioni, nell’ottobre 1948 è stata organizzata la Conferenza di Ginevra mentre a New York il 9 dicembre dello stesso anno l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Non è un atto vincolante, ma all’articolo 19 è stato fissato il principio che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quella di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Successivamente è arrivata La convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 nell’ambito del Consiglio d’Europa. All’articolo 10 sono stati ripresi i concetti del citato articolo 19 introducendo qualche limite. E’ stata conferita agli Stati la facoltà “di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche e televisive”. Infine è entrata a regime la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici di New York del 1966, con la quale si tutela la libertà di pensiero, di parola e di stampa, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea adottata a Nizza il 7 dicembre 2000. La citata Carta e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo dal dicembre 2009 fanno parte della Costituzione europea.
La libertà di informazione – il diritto di cercare, ricevere e trasmettere informazioni – costituisce un diritto inalienabile, tutelato da tutte le democrazie occidentali ed inserito nelle loro Costituzioni, con eccezione dei paesi anglosassoni che seguono la “common law”. Attraverso il tempo sono state coniate diverse definizioni. Una è già stata riferita. Se ne può aggiungere un’altra: è “un diritto funzionale a esigenze sociali”.
Nelle pagine che precedono è stato più volte accennato all’articolo 21 ed alla sua interpretazione evolutiva da parte della dottrina e della giurisprudenza. Il risultato è stato quello di affermare che esistono tre profili della libertà d’informazione, acquisiti dal nostro ordinamento costituzionale e già indicati. Per arrivare a tanto hanno contribuito non solo la dottrina, ma soprattutto le valutazioni che la Corte costituzionale ha voluto dare alla libertà di stampa. Al riguardo si può citare il saggio di Enzo Cheli, già vice presidente della Corte, dal titolo “La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana in tema di media”.
I giudici delle leggi hanno inizialmente affermato con la sentenza numero 96 del 1969 che la libertà di stampa costituisce “una pietra angolare dell’ordinamento democratico” mentre con la 172 del 1972 hanno asserito che è il “fondamento della democrazia” ed infine con la 138 del 1985 hanno sancito che “è il più alto, forse, dei diritti fondamentali”.
Tre sentenze che costituiscono la base del diritto di informare e che la Corte costituzionale con le sue successive pronunce ha sempre più rafforzato e ora il Parlamento con un provvedimento illiberale vorrebbe imbrigliare. I giudici hanno affermato che nell’articolo 21 sono insiti riferimenti all’interesse generale all’informazione, tanto da configurare il “diritto di essere informati”, come risvolto passivo della libertà di informazione.
Negli anni successivi la Consulta ha accentuato la sua attenzione sul tema informazione. Sintomatica è la sentenza 155/1990 con la quale è stato sancito il “fondamentale valore costituzionale del pluralismo dell’informazione” per poi dichiarare che “l’informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto di essere informati) esprime ….. una condizione preliminare per l’attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico”.
Per quanto riguarda la cronologia, oltre ai giudicati già indicati, si ricorda  la sentenza 105/1972 (accanto alla libertà di manifestazione del pensiero, inteso come libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti, esiste pure un interesse generale all’informazione indirettamente protetto, e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee); la 94/1977 (la manifestazione del pensiero implica anche l’esclusione di interventi dei pubblici poteri suscettibili di tradursi anche indirettamente e contro le intenzioni, in forme di pressione per indirizzare la stampa verso obiettivi predeterminati a preferenza di altri) ed infine la 112 del 24 marzo 1993.
La Corte costituzionale ha voluto affermare e ribadire tramite le sue sentenze che il diritto all’informazione è garantito dall’articolo 21. Un tale diritto deve essere qualificato e caratterizzato da alcuni elementi. Questi sono il pluralismo delle fonti, l’obiettività e l’imparzialità dei dati forniti, la completezza, la correttezza, la continuità dell’attività di informazione erogata, il rispetto della dignità umana, l’ordine pubblico, il buon costume e il libero sviluppo psichico e morale dei minori. Elementi e regole che si ritrovano, oltre che nella “Carta dei doveri del giornalista” del 1993, nella Carta di Treviso e nel Codice sulla privacy relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività parlamentare.


7. Sulla libertà di stampa e sul diritto di informare, nonché quello di essere informati, di passi in avanti ne sono stati fatti diversi. Soprattutto se si considera che nel 1953 il diritto di cronaca doveva ancora essere riconosciuto. Come peraltro la privacy, il diritto alla riservatezza ovvero a non entrare nei sacri recinti personali, e a mero esempio si ricordano le cause promosse dalla famiglia Petacci per tutelare l’immagine privata della figlia.
Le cronache attestano, è già stato indicato in precedenza, che non mancano ripetuti attentati al diritto di informare. La sua difesa la debbono assumere i giornalisti con la propria professionalità, con l’essere super partes e non portavoce, nonché con il coraggio che mostrano quotidianamente nel raccontare il malaffare nelle sue articolazioni e diversificazioni. Pure sugli sperperi delle risorse pubbliche e gli abusi della politica.

(1)   De Vincentiis Mauro: “L’Ufficio stampa”. Lupetti editore, 1997.
(2)   Giardina R.: “Spiegel taglia 200 posti. In uscita 45 giornalisti” Italia Oggi, 25 novembre 2015.

(3)   Prima Comunicazione on line, sabato 23 gennaio 2016.
(4)   LsDi: “Sesto Rapporto sullo stato del giornalismo nel 2014” a cura di Pino Rea
(5)   Al congresso tenuto a Chianciano dalla Fnsi alla fine di gennaio 2015 è stato fatto circolare un manifesto dei giornalisti freelance. Sempre i freelance hanno di recente inviato una lettera al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, affinché prenda cognizione della precaria situazione in cui svolgono la loro attività e quali sono i compensi che percepiscono. Il promotore è Antonio Fico consigliere dell’Associazione della stampa romana. Sempre sui precari è da ricordare un articolo di Marco Patruno pubblicato nel 2009 su LaStampa.it dal titolo “Giornalisti e precari: il futuro dell’informazione”.
(6)   Melzi d’Eril e Vigevani G.E.: “Fonti dei giornalisti, nessuna scorciatoia per aggirare le tutele”. Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2016. Malavenda C.: “Bruciare le fonti dei giornalisti è vietato in Europa”. Corriere della Sera, 19 gennaio 2016.
(7)   Fnsi: Comunicato stampa del 14 dicembre 2015. Giornali alla berlina.
(8)   Giardina R.: “La Polonia caccia gli editori tedeschi”. Italia Oggi, 23 dicembre 2015.
(9)   Ansa, 3 gennaio 2016: Varsavia sotto sorveglianza.
(10)  Jefferson Thomas: “Se toccasse a me decidere se avere un governo senza avere giornali o se avere i giornali senza un governo, non esiterei minimamente a scegliere quest’ultima soluzione”.
(11)  Tipperary è una cittadina dell’Irlanda fondata nel Medioevo e prende il nome da un pozzo dal quale nasce il fiume Arra. E’ nota per una canzone di Jack Judge e Harry Williams cantata durante la Guerra Mondiale dai soldati inglesi e irlandesi.
(12)  Castronovo V.: “La stampa italiana dall’Unità al fascismo”. Editori Laterza.
(13)  Razzante R.: “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione”. Edizioni Cedam
(14)  MacMillan M.: “Sei mesi che cambiarono il mondo. Parigi 1919”. Arnoldo Mondadori Editore: Anno 2006.

 

Gli articoli che seguono sono scritti da collaboratori, a vario titolo, della testata. Alcuni, occasionalmente, scrivono ancora. Altri non più.

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Attualità

“Passioni in Fiera” un successo che cresce

Conclusa con grande successo la due giorni di eventi e di forti attrazioni nel Quartiere Fieristico aretino

Paolo Castiglia

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“Un viaggio nel tempo, con le testimonianze e gli oggetti del passato, e nel futuro con le innovazioni presenti in tutti i settori”. Per Ferrer Vannetti, presidente di Arezzo Fiere e Congressi la appena conclusa quarta edizione di “Passioni in Fiera” che ha catalizzato l’attenzione generale nello scorso weekend, è stata per le famiglie, gli operatori e i protagonisti che vi hanno preso parte “come entrare in una scatola delle meraviglie: ai visitatori che varcavano la soglia si apriva un caledoscopico universo fatto di colori, profumi, sapori, e soprattutto di persone che si dedicano con grande amore alle loro attività, e si impegnano per trasmettere la loro passione sal pubblico con un grande coinvolgimento”.

Si è trattato infatti di una due giorni di grandi passioni e divertimento per tutti, un altro fine settimana di grandi eventi di forti attrazioni al quartiere fieristico di Arezzo Fiere con oltre 13.000 presenze fra Passioni In Fiera e la mostra del Fumetto e del Disco. Visitatori aretini e non solo, erano molti quelli provenienti da un ampio bacino della Toscana, Umbria, Lazio e Marche.

Ma ovviamente, spiega ancora Vannetti, “Arezzo Fiere non si ferma qui: concluso questo week end con feedback positivi sia da parte degli espositori che dal pubblico intervenuto – spiega il presidente – Arezzo Fiere si concentra fin da subito sugli appuntamenti delle prossime settimane, tra cui quello con il Calcit del 22-23-24 marzo, per poi proiettarsi verso la 43esima edizione di OroArezzo, la nostra storica Fiera Internazionale dell’Oreficeria, organizzata da Italian Exhibition Group nei nostri rinnovati spazi espositivi dall’11 al 14 maggio prossimi.

Tornando a Passioni in Fiera, mai nome è stato scelto in modo più appropriato: si è vista tanta passione accendersi negli occhi del pubblico, adulti e bambini, grazie alle persone che ad Arezzo Fiere hanno portato e condiviso con generosità una parte importante della loro vita. Il bilancio è quindi molto positivo per gli organizzatori e per l’Ente Fieristico aretino, e non solo per i grandi numeri dell’afflusso di pubblico, ma anche perché erano rappresentate all’interno degli spazi fieristici davvero molte categorie: dalla floricoltura, al vivaismo, alla ceramica, all’artigianato artistico, ai prodotti e servizi per l’outdoor, per la casa e il giardino. Catalizzatore di interesse ed attenzione è stata sicuramente l’area dedicata alla Fattoria, con splendidi esemplari di avicoli ornamentali, alpaca, equini e bovini, da poter osservare da vicino e, con il permesso dell’allevatore, accarezzare.

L’intrattenimento per bambini ha visto continuativamente nei due giorni impegnato il parco avventura. Le altre attività, presentate nell’area sportiva, e proposte a tutti quelli che volevano cimentarsi, tra cui Il kartodromo, il pattinaggio, ballo e arti marziali orientali, sono state organizzate da Arezzo Fiere in collaborazione con la UISP (Unione Italiana Sport Per tutti), Associazione di promozione sportiva che vuole affermare il valore sociale dello sport, bene sociale che contribuisce alla salute e alla qualità della vita. Importante è stata anche la presenza del terzo settore, che ha fatto conoscere al pubblico le loro attività sociali e di inclusione.

Ricca e variegata anche l’area Food, con proposte di cucine tipiche dall’Italia e dal mondo, e con l’offerta di birre artigianali che hanno permesso di aggiungere un momento di convivialità e piacere alle giornate trascorse in Fiera. Molto frequentato anche il nuovo padiglione “Nirvana”, un vero e proprio viaggio nel mondo olistico e del benessere con Expo di artigianato e bio, area relax, con trattamenti olistici e un percorso dedicato al mistero e alla magia. Durante l’evento si sono tenute anche conferenze gratuite, workshop e meditazioni per il sé interiore. Vivissima soddisfazione anche per gli organizzatori della Mostra del Fumetto che organizzano ad Arezzo, ormai stabilmente, due appuntamenti l’anno con davvero ottime risposta dagli operatori e dagli instancabili collezionisti.

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Cultura

Esotika: un successo crescente che tornerà a settembre

Con quasi 15.000 visitatori l’evento si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese

Paolo Castiglia

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“A distanza di 3 giorni dalla sua chiusura, l’eco di Esotika Pet Show di Arezzo, il salone nazionale degli animali esotici e da compagnia, riecheggia ancora nelle orecchie degli appassionati”. Sono parole dell’organizzatore Daniel Baiocco, reduce dalle fatiche di questo partecipatissimo evento che si è tenuto presso Arezzo Fiere e Congressi e che ha monopolizzato, con le sua presenze e le brillanti iniziative interne dedicate agli animali, lo scorso weekend aretino e non solo.

“Arezzo – continua Baiocco – ha dimostrato anche stavolta di essere la città che unisce il Nord e il Sud dell’Italia, anche grazie ad una manifestazione a cui hanno partecipato oltre 130 espositori provenienti da ogni parte del Paese e anche dell’Europa e che ha visto la presenza di quasi 15.000 visitatori: ecco quindi che Esotika Pet Show si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese, visto che conta ormai ben quindici edizioni che si svolgono su tutto il territorio nazionale”. La professionalità e la dedizione degli organizzatori hanno portato infatti alla realizzazione di eventi, gare ed esibizioni che hanno divertito e appassionato il pubblico presente.

“Siamo lieti – insiste l’organizzatore – di annunciare che il prossimo 14 e 15 settembre si terrà la seconda edizione di Arezzo, già sold out per gli espositori che hanno deciso di riconfermare la loro presenza per questa nuova avventura. E siamo fieri del fatto che anche le istituzioni territoriali, come Asl e Carabinieri, hanno riconosciuto l’impeccabile gestione della fiera non riscontrando alcuna irregolarità”. “Arezzo Fiere e Congressi – dichiara a sua volta il presidente di Arezzo Fiere, Ferrer Vannetti – mette volentieri a disposizione le sue strutture per ospitare questa importante manifestazione, che unisce gli appassionati del settore e il rispetto per gli animali nel senso più pieno e compiuto. Un connubio vincente che ci fa già immaginare il successo annunciato dell’edizione del prossimo settembre”

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Cultura

“Esotika Pet Show”: un weekend di festa per la famiglia

Il 24 e 25 febbraio torna ad Arezzo Fiere e Congressi il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia

Redazione Foritalynews

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Torna ad Arezzo Fiere e Congressi “Esotika Pet Show”, il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia. Appuntamento il 24 e 25 febbraio con un ricco programma di eventi dedicato al mondo dei Pet, per gli operatori del settore ma anche per appassionati e soprattutto per i più piccoli, che potranno conoscere gli animali da vicino e imparare a prendersene cura.

“Anche questa edizione, che verrà riproposta a settembre – spiega Ferrer Vannetti, presidente di Arezzo Fiere e Congressi – sarà una grande festa, dedicata ad appassionati e alle famiglie. I visitatori troveranno un ambiente caratterizzato da diverse tipologie di piante, animali da ammirare e perché no, anche da accudire”. “E’ un evento – spiega ancora Vannetti – che noi di Arezzo Fiere e Congressi, ospitiamo sempre con grande piacere e che testimonia la duttilità espositiva del nostro Ente fieristico. Una ‘due giorni’ rivolta al grande pubblico che esprime, ancora una volta, come sia in atto il definitivo rilancio della Fiera Espositiva, in piena sintonia con le forze produttive, associative e di rappresentanza del nostro territorio a tutti i livelli”.

In riferimento ad Esotika, poi c’è da dire dell’attualità e della pertinenza di questo evento, tenendo conto che il 44,7% delle famiglie italiane vive ormai con almeno un animale domestico. La manifestazione si propone infatti di contribuire alla promozione di una cultura del rispetto verso gli animali domestici e non, grazie alle aree didattico/educative tra cui la “fattoria didattica” e alla presenza di alcuni dei massimi esperti di Acquariofilia, Erpetologia, Entomologia, Ornicultura e così via.

Animeranno la fiera varie esposizioni, da quella internazionale canina, alle dimostrazioni di falconeria, Disc Dog e obedience. Si potranno poi acquistare animali da compagnia, ma anche ammirare pesci, tartarughe, porcellini d’india, pappagalli, carpe Koi, piccoli mammiferi come criceti e ricci, rettili, anfibi e roditori. Tutto questo supportato da sezioni giornaliere di terrascaping e aquascaping.

In fiera si potranno poi trovare le ultime novità del settore per quanto riguarda gli accessori, la mangimistica, i complementi d’arredo e tutto il necessario per la cura degli animali domestici. Un’occasione, quindi, per le famiglie e gli appassionati, di scoprire il fantastico mondo del Pet, ma anche di apprendere il modo più corretto di avvicinarsi e relazionarsi con il proprio piccolo amico e sviluppare ulteriormente con consapevolezza rinnovata la propria passione

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