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Cultura

1943, rinasce la libertà di stampa In Italia con riferimenti alla professione, alla deontologia e a Bruxelles

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Breve saggio di Gino Falleri

Lunga, tortuosa e disseminata di ostacoli la strada della libertà di espressione e di stampa per arrivare prima a Brindisi, sede del regno del Sud, dove rinasce dopo oltre un ventennio, e più tardi a Bruxelles, capitale dell’Unione europea…

Breve saggio di Gino Falleri

Lunga, tortuosa e disseminata di ostacoli la strada della libertà di espressione e di stampa per arrivare prima a Brindisi, sede del regno del Sud, dove rinasce dopo oltre un ventennio, e più tardi a Bruxelles, capitale dell’Unione europea. Le istituzioni comunitarie, che si avvalgono della giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo, con le loro Raccomandazioni e Risoluzioni, sono molto attente nella difesa dei diritti ed in particolare della circolazione delle idee. Strada che non è stata agevole, come quella per raggiungere la mitica Tipperary, una cittadina irlandese e soggetto di una canzone di Jack Judge e Harry Williams che i soldati britannici ed irlandesi cantavano cent’anni addietro nelle trincee della Grande guerra.

Senza i Sumeri e la scrittura sull’argilla, senza l’alfabeto, privi del Disco di Festo, ritrovato a Creta e precursore della mobilità delle lettere dell’alfabeto, e soprattutto orfani di Gutenberg, l’orefice di Magonza con i suoi caratteri mobili, l’inchiostro e la Bibbia; senza l’indice dei libri proibiti, Enrico VIII il defensor fidei, il Sant’Uffizio, il Cardinale Gian Pietro Carafa  salito più tardi al soglio pontificio con il nome di Paolo IV, la Riforma protestante, la censura delle notizie non gradite, la repressione o i condizionamenti diretti ed indiretti, non staremmo qui a Roma, a Brindisi o a Bruxelles a parlare di deontologia, di professione, di media nonché del diritto di  manifestare liberamente  il proprio pensiero e della libertà di stampa, non soggetta ad imposizioni palesi o surrettizie. Una libertà che il marchese Marie Antoine Condorcet considerava una delle pietre miliari del “progresso dello spirito umano”.

Senza libertà, senza accesso alle fonti, è oltremodo arduo fare il giornalista, anche perché la stampa è al servizio degli amministrati e non degli amministratori, come ha affermato il “New York Times” dopo lo scandalo del Watergate, che ha costretto Richard Nixon alle dimissioni da presidente degli Stati Uniti. Scandalo portato alla luce da due reporter del “Washington Post”, Bob Woodward e Carl Bernstein. In teoria è senz’altro così, ma c’è sempre un punto interrogativo e riguarda la terzietà.

Gli indicati sono temi di grande interesse collettivo. Talvolta vengono retrocessi per lasciare il passo alle analisi sulle trasformazioni in atto per via delle tecnologie sempre più sofisticate, che riducono l’apporto umano – robot e web i principali imputati – e per i non pochi problemi sul tappeto. In dieci anni le vendite dei giornali sono diminuite del 40%. A parere di Richard Tofel, presidente di ProPubblica, la stampa è più vicina al capolinea di quanto si voglia far credere. E questo nonostante l’aumento dei lettori delle edizioni digitali, riduzione degli organici, chiusura di antiche e nuove testate o loro concentrazioni, bassi od irrisori compensi, giornalismo digitale, blog, addetti stampa improvvisati e privi di titolo.

La legge 150/2000, ritenuta una delle strade da percorrere per ridurre la disoccupazione, stravolta o disattesa dalla PA e una legge sull’editoria, che non scioglie alcuni nodi del rapporto editori/giornalisti. I bilanci dell’Inpgi, l’ente di previdenza della categoria, esaminati con cura per accertare se ci sono sufficienti risorse e riserve monetarie per erogare le pensioni. Soprattutto in considerazione della penuria di nuovi accessi per il perdurare della crisi. Stesso discorso vale anche per l’Inps (Blasoni Massimo: Lasciateci liberi di scegliere un Inps “privato”. Panorama. Numero 18, 20 aprile 2017). Ultima perla, una ipotesi di rinnovo contrattuale decisamente non favorevole ai giornalisti.

Una legge, quella sull’editoria proposta dal Pd ed approvata dai due rami del Parlamento, che conferisce la delega al governo di modificare gli articoli 16 e 20 della legge 69/63 sull’Ordinamento della professione di giornalista, con la quale si riduce a 20 il numero dei consiglieri pubblicisti – come se solo i professionisti fossero i dominus dell’informazione che ne avranno 40 – e in piena rotta di collisione con l’articolo 3 della Costituzione. Nello stesso tempo è stato dato mandato al governo di affidare nuove e diverse competenze al Consiglio nazionale dell’Ordine, soprattutto quelle sulla formazione permanente; ordine che sovente si è trasformato in legislatore e talvolta ha pure sostituito la Fnsi.

Il futuro della professione è riposto, a parere degli esperti, nel digitale con i suoi lati negativi per quanto si riferisce all’occupazione. Uno squarcio sul possibile futuro, che riguarda il giornalismo, è nelle pagine del libro di Federico Rampini, “Rete Padrona”. Esiste un volto oscuro nella rivoluzione digitale.  Una recente ricerca dell’ufficio studi di Mediobanca ha fornito dati quanto mai inquietanti. In cinque anni i nove principali gruppi editoriali nazionali hanno perso il 32 per cento del fatturato e ridotto la forza lavoro di oltre 4.500 unità.

Se si segue LsDi, l’agenzia diretta da Pino Rea, si hanno cognizioni verso quali mete stia andando il giornalismo italiano e mondiale e si apprende che da noi i posti di lavoro sono intorno a cinquantamila, per i restanti iscritti, vicino ai sessantamila, difficoltà e rapporti di lavoro instabili. Il rapporto tra abitanti e giornalisti è di uno ogni 526 abitanti. Più degli Stati Uniti, che ne contano uno ogni 5.303 e hanno una industria dell’editoria non sovvenzionata e soprattutto autorevole. Anch’essa in difficoltà. Il “New York Times”, l’autorevole giornale della Grande mela, è in profondo rosso.

I giornalisti, pur non avendo adeguate retribuzioni rispetto ai non pochi rischi cui possono andare incontro e al prodotto intellettuale fornito, sono abbastanza autonomi e non soggetti a censure preventive. Lo attestano Il Dubbio, il Fatto Quotidiano e La Verità, testate che non indietreggiano nel raccontare cosa accade nei Palazzi delle Istituzioni. Lo fanno pure le altre, ma senza eccessiva enfasi.

Nell’altro secolo nell’Europa mediterranea, Germania e Russia comprese, la libertà di informare e di critica ha avuto i suoi alti e bassi. Da noi è stata ripristinata, dopo gli anni bui del Fascismo, del pensiero unico e delle veline, nelle giornate successive all’8 settembre 1943, allorché è stato creato il regno del Sud, con il maresciallo Pietro Badoglio, capo del governo, e Vittorio Emanuele III sovrano regnante.

Per Mussolini, che di giornalismo se ne intendeva per essere stato lui stesso un giornalista, c’erano solo “le libertà, la libertà non” era “mai esistita”. L’affermazione è tratta da un discorso pronunciato il 15 luglio 1923, prima dell’entrata in vigore dei decreti di Luigi Federzoni, ministro dell’Interno, che hanno privato il Paese di un giornalismo libero ed indipendente. Connivente lo Statuto Albertino. Statuisce che la stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi. In teoria tutto potrebbe essere considerato un abuso. Sono stati soppressi i fogli di opposizione ed è stata introdotta la figura del direttore responsabile al posto del gerente, nonché l’albo dei giornalisti, istituito con il R.D. 26 febbraio 1928, numero 384.

Gli italiani l’hanno riconquistata per volere degli Alleati, come all’inizio dell’Ottocento con Bonaparte, e comunicata al capo del governo del regno del Sud, forse in maniera non protocollare, dall’arrogante ed impertinente tenente generale inglese Frank Mason-MacFarlane, ex governatore di Gibilterra. Qualche settimana dopo l’anziano Maresciallo, in una intervista rilasciata a Luigi de Secly e pubblicata su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, non si è fatto sfuggire l’occasione di affermare, senza alcuna remora, di aver ripristinato la libertà di stampa “ritenendola indispensabile per un popolo civile”. Affermazione non esatta.

Badoglio nei 45 giorni del suo governo, post arresto di Mussolini a Villa Ada, residenza privata di Vittorio Emanuele III, non ha fornito prova di essere a favore della libertà di stampa. Sebbene, come ha riportato Arrigo Petacco nel libro “Faccetta Nera”, durante la campagna per la conquista dell’Etiopia non si sia sottratto dal colloquiare con i giornalisti. Soprattutto quelli stranieri.

Le prime misure come capo del governo, secondo quanto ha riferito Paolo Murialdi nella “Storia del giornalismo italiano”, edito dalla Casa editrice il Mulino, sono state oltremodo severe; “improntate, da un lato, a una rigida politica dell’ordine pubblico e, dall’altro lato, dal disegno di impedire che i giornali si facessero paladini delle richieste di pace e strumenti di promozione e di coagulo di forze antifasciste”.

Le ha fatte rispettare con la censura preventiva introdotta tre giorni dopo l’arresto di Mussolini. I giornali uscivano con diversi spazi bianchi. Prima di essere messi in vendita dovevano essere portati all’esame di un ufficiale dell’esercito, che controllava titoli e testi e sulla base delle direttive impartite dal governo ne autorizzava l’uscita. Nel contempo erano state soppresse due testate: Il Popolo d’Italia e il Regime Fascista.

Nei giorni intercorsi dal 26 luglio all’8 settembre sia Badoglio che Mario Roatta, capo di Stato Maggiore dell’Esercito ed ex comandante della 2a Armata in Jugoslavia, sono andati oltre i loro normali compiti. Hanno usato le maniere forti sull’esempio del generale Fiorenzo Bava Beccaris. A chi chiedeva pane e pace hanno risposto con lutti e carcerazioni. Le cronache parlano di 93 cittadini uccisi, 536 feriti, 3500 condannati a varie pene detentive e 30.000 posti in stato di fermo. Senza riferire sui comportamenti del questore di Bari, Tommaso Pennetta.

Del ritorno alla libertà di informare senza gl’indirizzi, le segnalazioni, i suggerimenti, le veline e le censure del “MinCulPop”, che, nelle sue varie trasformazioni, ha guidato la stampa nazionale dalla fine del 1926 al 25 luglio 1943, e dell’importanza delle istituzioni europee volte a difendere la libertà di stampa costituisce materia della seconda parte del testo. Si può anticipare che, nonostante la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non sempre i giudici nazionali concordano con quelli di Strasburgo.

 

La libertà di stampa è una libertà con le sue luci, ma anche con qualche ombra. Esiste sotto banco una inconfessabile volontà di porre dei freni. Di mettere il morso. Sintomatica quella forzatura a favore di magistrati e politici nel decreto in materia di contrasto alle intimidazioni successivamente ritirata per l’intervento della Fnsi. Oggi non esistono quelle forme di servilismo degli addetti, che hanno caratterizzato gli anni che vanno dal 1925 al 1943. La conferma la si trova scorrendo le pagine dei libri di Pierluigi Allotti, Giornalisti di regime, e di Ugoberto Alfassio Grimaldi e Gherardo Bozzetti dal titolo “Dieci giugno 1940. Il giorno della follia”.

Si è fatto cenno alle ombre. Ce ne sono, soprattutto sulla terzietà. Un recente studio pubblicato da “Lavoce.info” e basato sulle statistiche di Eurobarometro a firma di Luigi Curini e Sergio Splendore ha messo in risalto che “i giornalisti italiani sono più a sinistra degli italiani” (Panorama, 26 ottobre 2016). Agli inizi degli anni Novanta dell’altro secolo Paolo Mancini, docente all’università di Perugia, nella relazione introduttiva a un seminario sull’informazione parlamentare, ha affermato che “in Italia non si è mai affermato quel modello di giornalismo liberal-borghese che si colloca in posizione autonoma tra cittadini e potere”.

Che ci siano più ombre che luci lo attesta un dato. Il nostro Paese lo scorso anno è stato relegato, nonostante il pluralismo dei mezzi di informazione, al 77° posto della graduatoria mondiale che “Reporter senza frontiere” redige annualmente. Associazione privata fondata nel 1985 dal giornalista Robert Ménard.

Annota i diritti dei giornalisti e le loro preoccupazioni, nonché le intimidazioni, e non solo, che giorno dopo giorno subiscono per dare contenuti a quel duplice diritto di informare e di essere informati. Un duplice diritto che nasce dall’esegesi dell’articolo 21 della Costituzione, dalle sentenze della Corte Costituzionale, della Corte di cassazione ed è ben fissato dall’articolo 2 (diritti e doveri) della legge 69/63 e dagli atti internazionali.

L’ultimo rapporto, quello relativo al 2017, colloca l’Italia al 52° posto. Un balzo in avanti in quanto la magistratura giudicante ha assolto “diversi giornalisti tra cui i due che sono stati processati nel caso Vatileaks”. Nello stesso tempo il nostro Paese “continua ad essere uno dei paesi europei in cui i giornalisti sono minacciati dalla criminalità organizzata”. Una professione non priva di rischi è stato riferito. E lo è. Sono gli eventi quotidiani ad attestarlo.

Nel 2016 Ossigeno per l’informazione, soggetto privato collegato con la Federazione nazionale della stampa e gli Ordini regionali, ha contato 377 intimidazioni, che nei primi mesi del 2017 hanno già raggiunto quota 52. Un numero elevato per un Paese che ritiene di poter guidare, assieme a Francia e Germania, l’Unione Europea.

Un recente studio dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, basandosi sui numeri di “Mapping Media Freedom”, ha posto in risalto che i giornalisti italiani sono i più minacciati. In Francia se ne contano 55, in Polonia 29 mentre in Ungheria 28. Tra i più virtuosi con zero casi Danimarca, Slovenia e Repubblica Ceca.

Il termometro sullo stato di salute della professione sia nel paese che nel pianeta è costituito soprattutto da “Giornalisti Italia”, il quotidiano on line diretto da Carlo Parisi. Riporta le “vessazioni” e gli assassinii che si succedono in ogni angolo del pianeta. Oggi sono la Turchia, l’Egitto, la Libia, i paesi dell’Asia centrale ed il Messico ad essere maggiormente monitorati. In quei paesi la libertà di stampa è una chimera, una illusione.

Signora illusione, per memoria, era un motivo di Cherubini e Fragna che i fanti della Brigata Sassari canticchiavano quando erano di stanza in Jugoslavia. E sempre in tema di canzoni l’allora ministero della Guerra, tanto per indicare il clima in cui si viveva ai tempi del secondo conflitto mondiale, aveva diramato un ordine per evitare che i soldati cantassero Sul Ponte di Perati, dove erano caduti tanti giovani alpini della Julia per la non lungimiranza dei Comandi militari, raccomandando invece Camerata Richard di Mario Ruccione.

 

1943 rinasce la libertà di stampa in Italia con riferimenti alla professione, alla deontologia e a Bruxelles”. Il 1943, anno della disfatta dell’Italia guerriera, e Bruxelles costituiscono due punti, uno di partenza e l’altro d’arrivo, che non possono essere sottovalutati e sono inoltre di attualità per una pluralità di motivi. Soprattutto la capitale dell’Unione. Il primo riguarda i governi nazionali. Non sempre si attengono agli indirizzi comunitari. Sono alquanto restii a privarsi della sovranità ed esiste sempre la spada di Damocle del pensiero unico. L’Ungheria docet assieme alla Polonia.

Il secondo si riferisce alla crisi del sistema informazione per via delle difficoltà, economiche e politiche, che si stanno incontrando. Senza giornali, la preghiera mattutina di Hegel, i cittadini starebbero al buio. Thomas Jefferson, che è stato presidente degli Stati Uniti, era del parere che se “avesse dovuto scegliere tra uno Stato senza giornali e giornali senza uno Stato avrebbe preferito la seconda opzione”.

Se si analizzano e si comparano le caratteristiche dei tre modelli costruiti da Daniel Hallin e il già citato Paolo Mancini, due docenti di scienze della comunicazione, coautori del libro “Modelli di giornalismo. Mass Media e politica nelle democrazie occidentali, per i caratteri di Laterza, sia la deontologia che la professione nei paesi democratici dell’Europa centrale che del Nord America presi a riferimento hanno connotazioni ben diverse da quelli mediterranei. Modelli semplici, regole chiare e non si avvalgono per l’accesso alla professione di un Ordine, ma delle regole concordate tra i sindacati dei giornalisti e le associazioni degli editori o tramite gli accordi con le università. Il giornalismo è transeunte.

Le nostre istituzioni giornalistiche invece abbondano nel varare norme di comportamento, Carte dei doveri e Protocolli, tanto che il Consiglio nazionale dell’ordine ha dovuto redigere e far approvare un Testo unico per rendere più agevole la loro applicazione. Non più 13 Carte ed in itinere ce ne erano delle altre. Per i due docenti nei paesi del Nord-Atlantico e dell’Europa centro-settentrionale le procedure concordate difficilmente danno adito a contenziosi. Non esistono dichiarazioni d’ufficio, tutor e ricongiungimenti. Chi ha il contratto è giornalista ed è poi il mercato a fare la selezione.

La deontologia, dottrina dei doveri, a sua volta, senza evocare Benjamin Harris (nel 1690 ha stabilito che il compilatore di giornali ha il dovere di rettificare se chiesto, di correggere gli eventuali errori ed andare alle fonti) e Jeremy Bentham (il suo saggio Deontology or science of morality è stato pubblicato postumo nel 1834 e probabilmente rimaneggiato da John Bowring: mirava a fare una distinzione fra etica privata e pubblica), è costituita da pochi precetti da osservare, ma oltremodo chiari.

Bentham ha inoltre il merito di non condividere il sistema della common law, che può generare arbitri, ed invocava per mettere un freno al potere discrezionale del giudice l’istituzione di un tribunale dell’opinione pubblica. Il giurista inglese ha dedicato molta attenzione alla disciplina delle diverse forme di pubblicità relative alla promulgazione delle leggi. Uno dei mezzi è costituito da una stampa libera ed indipendente. Secondo il suo parere il giornale è il solo adeguato strumento (P. Scarlatti: “L’idea di codice nel pensiero di Jeremy Bentham”. Teoria del diritto dello Stato. Anno 2005, n. 2).

La prima Carta deontologica è stata redatta nel 1896 dall’Associazione dei giornalisti polacchi della Carinzia, la Carta dei diritti professionali dei giornalisti francesi datata 1918 e revisionata nel 1938 è formata da 14 punti mentre la Dichiarazione Internazionale dei doveri del giornalista, approvata nel 1954 a Bordeaux dalla Federazione internazionale dei giornalisti, ha solo 8 articoli. Il Codice della stampa tedesca ne ha 16 mentre il Codice dei principi giornalistici del Belgio è composto da 12 punti ed è stato licenziato nel 1982.

Francesco Bacone, vissuto a cavallo del Cinquecento e Seicento, ha detto che l’uomo è uscito dalle tenebre del Medioevo grazie a Gutenberg. Nello stesso tempo sono iniziate le preoccupazioni per stampatori e compilatori degli Avvisi, Broglietti, Occasionel e Corantos. Dovevano fare i conti con l’Autorità ed i suoi poteri. Era l’Autorità, ovvero il privilegio del Principe, a consentire la pubblicazione ed esercitava il potere con mano ferma. Niente notizie sgradite.

Il concetto di libertà ha avuto nella storia della civiltà umana e del diritto una forte evoluzione. Ai tempi di Platone e di Aristotele è stata identificata con il rispetto delle leggi della città, che sono espressione della ragione, o come assenza di limitazioni. Nel Medioevo aveva un significato diverso. Era un sinonimo di esenzioni, immunità, privilegi rivendicati e concessi a vari soggetti. Ma non esiste solo la libertà politica. Ne esiste un’altra: quella di pensiero. L’uomo ha piena libertà quando pensa e quando esprime il suo pensiero. Due libertà che le nazioni non democratiche non consentono. Nel Novecento qualche esempio esiste: Comunismo, Fascismo, Nazionalsocialismo e Franchismo.

Per John Stuart Mill, filosofo ed economista britannico ed autore di un saggio intitolato “Sulla libertà”, la libertà del pensiero deve essere incondizionata e costituisce uno dei diritti più preziosi dell’uomo. I padri fondatori degli Stati Uniti e gli estensori della sua Costituzione erano del parere che ogni cittadino avesse il diritto di parlare, scrivere e stampare. Secondo George Orwell scrittore inglese – autore del libro “1984” tramite il quale ha suddiviso il pianeta in tre zone ed un partito unico guidato dal Grande Fratello –  la libertà “consiste nel dire che due più due fanno quattro. Se questa è concessa, ne seguono tutte le altre”. Kant era dell’avviso che  “la libertà altro non era che la capacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro”.

Non tutti però avevano le stesse idee, soprattutto quando sono usciti i giornali d’informazione. Aumentavano le preoccupazioni. Sir Roger L’Estrange, capo della censura libraria britannica, si chiedeva “se l’invenzione della tipografia non portasse più danno che vantaggio al mondo cristiano” (Asa Briggs e Peter Burke, Storia sociale dei media Il Mulino).

La libertà di espressione e di informare non costituiscono solo e soltanto un nostro problema. Interessano quasi tutto il mondo occidentale ed i semi per farle germogliare in maniera rigogliosa hanno antiche radici. Riprendono forza e vigore nell’agosto 1941 con gli accordi sottoscritti nella baia di Argenta, a Terranova, a bordo della corazzata inglese Prince of Wales, che alcuni mesi più tardi sarà affondata dai giapponesi.

Nel quadrato ufficiali dell’unità navale sono state gettate le basi della Carta Atlantica. Un documento guida sul nuovo ordine mondiale da costruire una volta terminata la guerra contro la Germania, e che contiene le quattro libertà per uscire dal bisogno e dalla paura. L’informazione e la libertà di manifestare il proprio pensiero i temi da affrontare e risolvere assieme alla fame, al dolore ed al culto. Roosevelt, mentre parlava con Churchill della Germania e del mondo di domani, sapeva, anche se è contradditorio, che di lì a poco gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra con il Giappone. Magic aveva violato il codice giapponese delle comunicazioni come Ultra a sua volta, per il genio di Alan Turing, aveva sfondato Enigma, la macchina cifrante tedesca.

Non esiste solo la Carta Atlantica, ci sono altri documenti. La Risoluzione 59 dell’assemblea generale dell’Onu del 14 dicembre 1946, con la quale si afferma che la libertà di informazione è un diritto fondamentale dell’uomo ed implica il diritto di raccogliere, trasmettere e pubblicare notizie; la Conferenza sulla libertà dell’informazione di Ginevra, organizzata dalle Nazioni Unite. Successivamente è intervenuta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata nel 1948 a New York, che non è un atto vincolante, e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che ha visto la luce a Roma il 4 novembre 1950, nonché il Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici del 16 e 19 dicembre 1966.

Ad adiuvandum il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti 1791 (il Congresso non farà alcuna legge che istituisca una religione di Stato o vieti il libero esercizio del culto; o che limiti la libertà di parola o di stampa) e l’articolo 11 della prima Costituzione della Repubblica francese (La libera circolazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; tutti i cittadini possono dunque parlare, scrivere, stampare liberamente salvo a rispondere dell’abuso di queste libertà nei casi determinati dalla legge), nonché la “Carta di Bogotà”, “La convenzione americana sui diritti umani”, sottoscritta il 28 novembre 1969 a San José (Costa Rica) e infine la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”. Da non dimenticare la Risoluzione adottata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite in data 6 luglio 2012 sulla promozione, protezione e l’esercizio dei diritti dell’uomo su internet (Marina Castellaneta: “La libertà di stampa nel diritto internazionale ed europeo”. Cacucci Editore).

Una recente Raccomandazione, non è la prima, del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, (CM/RAC 2016: 4), ha indicato le linee guida per tutelare i giornalisti e la libertà di stampa: protezione dei giornalisti, accesso alle fonti, un effettivo pluralismo e niente carcere per i reati di opinione. Ammissibile solo nell’ipotesi di incitamento alla violenza. Sempre il Comitato dei ministri ha chiesto l’attuazione di misure volte ad impedire attacchi giudiziari. Il cosiddetto chilling effect, a suo tempo usato da John Milton. Nel linguaggio legale anglosassone significa il non esercitare un diritto per timore di ritorsioni legali.

Nei cassetti del nostro Parlamento è ben conservata la proposta di legge relativa all’abolizione del carcere per il reato di diffamazione. La legge 47/48 ed il codice Rocco resistono. E questi sono sufficienti motivi per essere stati collocati al 77° posto della graduatoria mondiale. Si può aggiungere la chiusura della Sala stampa della Questura di Roma, con l’identificazione del giornalista che deve indicare con chi vuole conferire. Una censura non dichiarata, ma di fatto attuata. Di recente è intervenuto l’Onu, tramite il Comitato sui diritti umani, segnalando che l’Italia continua a violare gli standard internazionali in materia di libertà di stampa. Nell’ultima graduatoria c’è stato un recupero. Siamo al 52° posto.

 

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La libertà di stampa è uno dei pilastri di una società democratica. Lo ha sentenziato nel 1976 la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Due secoli prima della sua pronuncia, Alexis Tocqueville – un nobile francese combattente per la libertà degli Stati Uniti al fine di sottrarli dall’egemonia di Londra – ha asserito che “la democrazia è il potere di un popolo informato”. Un diritto che può essere messo in dubbio, modificato o cancellato.

L’esempio sono le già ricordate “Gazzette in livrea”. Nessuna autorizzazione a stampare e pubblicare se non si era ossequienti all’autorità governativa. Quando Adolf Hitler ha assunto nel 1933 il potere mille giornali sono stati spinti a chiudere per il boicottaggio delle autorità. Non erano favorevoli al nazismo e non senza ragione. Le conseguenze si sono viste più tardi con i crimini commessi in Russia dalle SS e dalla Wehrmacht su inermi e non colpevoli cittadini. Sorvolando sulle nefandezze compiute dall’Esercito italiano in Slovenia, Croazia, Jugoslavia, Albania e Grecia e dai dirigenti del Regime (Gianni Oliva, “Si ammazza troppo poco”. Le Scie, Mondadori).

Nel nostro Paese la libertà di stampa è sempre stata considerata un bene inalienabile? O talvolta c’è stata confusione tra il pensiero politico del cronista e l’evento? La storia degli ultimi 70 anni qualche interrogativo lo suggerisce come è stato già accennato. Può accadere che si omettano dati ed elementi che potrebbero consentire una diversa lettura.

Sulla terzietà, fondamentale, e sulla libertà di stampa, è intervenuto il Consiglio nazionale dell’Ordine per rimarcare che il giornalista deve essere super partes. La Raccomandazione n. 1215 del 1° luglio 1993 del Consiglio d’Europa ha invitato “i governi degli Stati membri a vigilare a che le leggi garantiscano l’organizzazione di mezzi di comunicazione sociale pubblici in modo di assicurare la neutralità delle informazioni, il pluralismo delle opinioni e l’uguaglianza dei sessi, nonché un diritto di rettifica equivalente per ogni cittadino che ne abbia fatto richiesta”.

Se si scorrono le pagine dei libri di Mario Forno, docente all’università di Torino, si apprende che la Repubblica Cisalpina prima dell’Unità ha posto regole restrittive ai compilatori dei giornali e procedure nei confronti di “chi, attraverso  scritti e discorsi, si fosse macchiato del reato di perturbazione della pubblica quiete o istigazione a non obbedire alle disposizioni del governo; Silvio Spaventa, durante il periodo in cui è stato segretario generale del ministero dell’Interno, si è dilettato a schedare i giornalisti e i giornali troppo critici mentre quelli “amici” potevano contare sulle sovvenzioni, tramite le inserzioni pubbliche e un certo numero di abbonamenti.

Non sempre si riferisce, o ci si sofferma, sui voltagabbana. Di chi cambia schieramento. Un esempio eclatante è offerto dal Moniteur, un giornale inizialmente acerrimo nemico di Napoleone, che in pochi giorni si è trasformato in una specie di zerbino dell’imperatore francese. Da non tralasciare il tallone degli Asburgo ai tempi dell’occupazione di Milano. Tutti gli articoli che si volevano pubblicare sui giornali milanesi dovevano passare sul tavolo del conte Strassoldo di Sotto, che ne era il governatore, ed applicava una ferrea censura.

Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio dei ministri, con i suoi apparati aveva l’abitudine, come ha riferito Mauro Forno nel libro “Informazione e potere”, edito da Laterza, di intercettare le conversazioni fra Luigi Albertini, direttore del “Corriere della Sera”, e la redazione romana del quotidiano milanese. Nello stesso tempo non si è fatto scrupolo nell’impartire disposizioni all’ufficio stampa del ministero dell’Interno di tentare di rendere non agevole la vita alla stampa considerata sovversiva.

Attività proseguita più tardi dall’Ovra (Opera di vigilanza e repressione dell’antifascismo), la polizia segreta del Fascismo, ed ora attraverso le intercettazioni telefoniche dalla magistratura inquirente per combattere il malaffare, la corruzione e le collusioni.

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Il ritorno alla libertà di informare è stato ottenuto nel 1943 tramite i blindati delle armate di Montgomery e di Patton, quest’ultimo non immune di comportamenti in violazione della Convenzione di Ginevra. Biscari ne è un esempio. Ritorno condizionato, come ha riferito Murialdi nella citata “Storia del Giornalismo”, “dall’andamento della guerra lungo la penisola, dalle clausole dell’armistizio, che vengono attenuate gradualmente, e dalle difficoltà materiali causate dalle distruzioni belliche, particolarmente gravi nel Sud e a Roma”.

I primi quotidiani sono stati stampati e diffusi a Caltanissetta e a Palermo. Il 1° agosto 1943 esce “La Sicilia”, cinque giorni più tardi “La Sicilia liberata” mentre qualche settimana dopo a Catania viene distribuito nelle edicole Il Corriere della Sicilia diretto da Giuseppe Longhitano. Nello stesso periodo Radio Palermo torna a farsi sentire. Ugo Stille, di nazionalità polacca, ne è il responsabile politico e dopo anni assumerà la direzione del Corriere della Sera dopo esserne stato il corrispondente da New York. A Messina, una volta liberata, ha visto la luce il Movimento di Sicilia libera, durato solo pochissime settimane. In Calabria è andato in edicola Calabria libera mentre a Catanzaro è stampato Il giornale di Calabria, diretto da Franco Cipriani.

Inizialmente è una libertà limitata e vigilata dall’Amgot (Allied Military Governament of Occupied Territory) e dal Pwb (Psychologycal Warfare branch), che gli Alleati hanno portato avanti con cautela poiché l’Italia era ancora in guerra con loro, che diventa piena solo dopo la firma dell’armistizio, la creazione del Regno del Sud e la dichiarazione di guerra alla Germania. Per le norme armistiziali gli Alleati si erano riservati il potere di censura sui giornali, stampa, libri, spettacoli, cinema e teatri come ha raccontato Silvio Bertoldi nel suo libro dal titolo “Contro Salò”.

La svolta avviene a Brindisi, la capitale del Regno del Sud. E’ nella città pugliese che la libertà di esprimere le idee e di avere la libertà di canalizzarle ha avuto la sua ribalta. La Gazzetta Ufficiale, non più pubblicata dal 26 luglio, diventa il primo canale di informazione sugli atti adottati dal governo. Il secondo è Radio Italia Libera.

Una voce nuova che utilizzava le strutture e le apparecchiature della sede dell’Eiar di Bari. Si è fatta sentire per la prima volta l’11 settembre mettendo in onda tra l’altro una rubrica intitolata “L’Italia combatte”: primi redattori dell’emittente radiofonica Michele Cifarelli, Beniamino D’Amato, Giuseppe Bartolo e Michele D’Erasmo. Sempre Cifarelli, capo del fronte nazionale di Bari, è stato pure il curatore di una rubrica intitolata “Parole di un cittadino italiano”, che non è stata accolta con entusiasmo dal Pwb.

Dai microfoni di radio Bari Vittorio Emanuele III ha informato gl’italiani “da una zona libera del territorio nazionale” sui motivi che lo avevano indotto ad abbandonare Roma ed a risiedere a Brindisi. Poi sono usciti altri giornali come L’Italia del popolo, organo del partito d’azione, L’Unità proletaria e il Risveglio. A queste più tardi si sono aggiunte altre testate come L’Unione, Ricostruzione, il Risveglio, L’Italia libera, Civiltà proletaria, La Rassegna unitamente a quelle di partito: l’Avanti, l’Unità e il Popolo.

 

La ritrovata libertà di stampa prima in Sicilia e successivamente nel regno del Sud nel settembre 1943 ha il suo punto d’arrivo a Bruxelles, sede delle istituzioni europee, e a Strasburgo dove è collocata la Corte europea per i diritti dell’uomo. Le istituzioni dell’Unione europea non di rado sono scese in campo per tutelare il lavoro dei giornalisti e per garantirgli sicurezza.

Per Bruxelles hanno diritto a non rivelare le fonti, non possono essere soggetti a perquisizioni e tanto meno debbono essere intercettati. Il loro dovere è quello di rispettare l’etica. L’assemblea del Consiglio d’Europa ha votato la Risoluzione n. 1003 del 1° luglio 1993 con la quale si afferma che il giornalismo “comporta diritti e doveri, libertà e responsabilità”. Ed aggiunge che l’informazione “deve essere ottenuta con mezzi legali e morali”

La Corte di Strasburgo con le sue sentenze e la sua giurisprudenza non ha fatto sconti a nessuno. Ha iniziato con il caso del giornalista inglese William Goodwin, che era stato condannato per aver pubblicato un articolo con il quale riferiva di una compagnia di prodotti informatici e sui debiti da essa contratti. Questa chiedeva di conoscere la fonte delle notizie, ovvero la gola profonda. Goodwin ha frapposto il segreto professionale. Nonostante questo i giudici inglesi gli hanno dato torto. Non quelli di Strasburgo.

Ultima annotazione. Se il mondo occidentale può essere liberamente informato lo deve all’avvocato Andrew Hamilton, che ha difeso John Peter Zenger, direttore del New York Weekly Journal, dall’accusa di aver diffamato il governatore di New York William Cosby, coniando nel 1735 il termine “libertà di stampa” e alla Svezia. Quest’ultima ha tracciato una strada.

Nel dicembre 1766 il Parlamento svedese ha adottato la prima legge costituzionale del mondo sulla libertà di stampa, nonché ha riconosciuto ai cittadini il diritto di poter accedere agli atti pubblici. Da noi dopo oltre tre secoli e con molte difficoltà per acquisirli nonostante la legge 141/90. Nello stesso tempo, sempre in Italia, la Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione ha inserito tra i libri proibiti “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria.

Sono i giornalisti con la loro professionalità, il rispetto della terzietà e la schiena dritta, come ha a suo tempo affermato il presidente Carlo Azeglio Ciampi, a difendere un diritto costituzionale, che dovrebbe essere indelebile. Per informare più di un giornalista è caduto sul fronte della notizia. Da ricordare, fra i tanti, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Ilaria Alpi, Maria Grazia Cutoli, Simone Camilli, Enzo Baldoni, Giancarlo Siani, l’irlandese Veronica Guerin, la russa Anna Politkovskaja e l’olandese Joroen Oerlemans. Altri vivono sotto scorta come Lirio Abbate, Federica Angeli e Paolo Borrometi. La verità non viene sempre accettata.

 

 

Gino Falleri è stato segretario generale aggiunto della Fnsi ed è vice presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio. Docente incaricato di diritto all’informazione all’Università del Foro Italico e al Polo didattico di Sora dell’Università di Cassino, nonché dell’Institute for Global Press. Ha tenuto lezioni all’Università di Pisa e nella sede distaccata di Arezzo dell’Università di Siena. E’ presidente del Gus e dell’Eapo&IC..

 

Gli articoli che seguono sono scritti da collaboratori, a vario titolo, della testata. Alcuni, occasionalmente, scrivono ancora. Altri non più.

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Attualità

“Passioni in Fiera” un successo che cresce

Conclusa con grande successo la due giorni di eventi e di forti attrazioni nel Quartiere Fieristico aretino

Paolo Castiglia

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“Un viaggio nel tempo, con le testimonianze e gli oggetti del passato, e nel futuro con le innovazioni presenti in tutti i settori”. Per Ferrer Vannetti, presidente di Arezzo Fiere e Congressi la appena conclusa quarta edizione di “Passioni in Fiera” che ha catalizzato l’attenzione generale nello scorso weekend, è stata per le famiglie, gli operatori e i protagonisti che vi hanno preso parte “come entrare in una scatola delle meraviglie: ai visitatori che varcavano la soglia si apriva un caledoscopico universo fatto di colori, profumi, sapori, e soprattutto di persone che si dedicano con grande amore alle loro attività, e si impegnano per trasmettere la loro passione sal pubblico con un grande coinvolgimento”.

Si è trattato infatti di una due giorni di grandi passioni e divertimento per tutti, un altro fine settimana di grandi eventi di forti attrazioni al quartiere fieristico di Arezzo Fiere con oltre 13.000 presenze fra Passioni In Fiera e la mostra del Fumetto e del Disco. Visitatori aretini e non solo, erano molti quelli provenienti da un ampio bacino della Toscana, Umbria, Lazio e Marche.

Ma ovviamente, spiega ancora Vannetti, “Arezzo Fiere non si ferma qui: concluso questo week end con feedback positivi sia da parte degli espositori che dal pubblico intervenuto – spiega il presidente – Arezzo Fiere si concentra fin da subito sugli appuntamenti delle prossime settimane, tra cui quello con il Calcit del 22-23-24 marzo, per poi proiettarsi verso la 43esima edizione di OroArezzo, la nostra storica Fiera Internazionale dell’Oreficeria, organizzata da Italian Exhibition Group nei nostri rinnovati spazi espositivi dall’11 al 14 maggio prossimi.

Tornando a Passioni in Fiera, mai nome è stato scelto in modo più appropriato: si è vista tanta passione accendersi negli occhi del pubblico, adulti e bambini, grazie alle persone che ad Arezzo Fiere hanno portato e condiviso con generosità una parte importante della loro vita. Il bilancio è quindi molto positivo per gli organizzatori e per l’Ente Fieristico aretino, e non solo per i grandi numeri dell’afflusso di pubblico, ma anche perché erano rappresentate all’interno degli spazi fieristici davvero molte categorie: dalla floricoltura, al vivaismo, alla ceramica, all’artigianato artistico, ai prodotti e servizi per l’outdoor, per la casa e il giardino. Catalizzatore di interesse ed attenzione è stata sicuramente l’area dedicata alla Fattoria, con splendidi esemplari di avicoli ornamentali, alpaca, equini e bovini, da poter osservare da vicino e, con il permesso dell’allevatore, accarezzare.

L’intrattenimento per bambini ha visto continuativamente nei due giorni impegnato il parco avventura. Le altre attività, presentate nell’area sportiva, e proposte a tutti quelli che volevano cimentarsi, tra cui Il kartodromo, il pattinaggio, ballo e arti marziali orientali, sono state organizzate da Arezzo Fiere in collaborazione con la UISP (Unione Italiana Sport Per tutti), Associazione di promozione sportiva che vuole affermare il valore sociale dello sport, bene sociale che contribuisce alla salute e alla qualità della vita. Importante è stata anche la presenza del terzo settore, che ha fatto conoscere al pubblico le loro attività sociali e di inclusione.

Ricca e variegata anche l’area Food, con proposte di cucine tipiche dall’Italia e dal mondo, e con l’offerta di birre artigianali che hanno permesso di aggiungere un momento di convivialità e piacere alle giornate trascorse in Fiera. Molto frequentato anche il nuovo padiglione “Nirvana”, un vero e proprio viaggio nel mondo olistico e del benessere con Expo di artigianato e bio, area relax, con trattamenti olistici e un percorso dedicato al mistero e alla magia. Durante l’evento si sono tenute anche conferenze gratuite, workshop e meditazioni per il sé interiore. Vivissima soddisfazione anche per gli organizzatori della Mostra del Fumetto che organizzano ad Arezzo, ormai stabilmente, due appuntamenti l’anno con davvero ottime risposta dagli operatori e dagli instancabili collezionisti.

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Cultura

Esotika: un successo crescente che tornerà a settembre

Con quasi 15.000 visitatori l’evento si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese

Paolo Castiglia

Pubblicato

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“A distanza di 3 giorni dalla sua chiusura, l’eco di Esotika Pet Show di Arezzo, il salone nazionale degli animali esotici e da compagnia, riecheggia ancora nelle orecchie degli appassionati”. Sono parole dell’organizzatore Daniel Baiocco, reduce dalle fatiche di questo partecipatissimo evento che si è tenuto presso Arezzo Fiere e Congressi e che ha monopolizzato, con le sua presenze e le brillanti iniziative interne dedicate agli animali, lo scorso weekend aretino e non solo.

“Arezzo – continua Baiocco – ha dimostrato anche stavolta di essere la città che unisce il Nord e il Sud dell’Italia, anche grazie ad una manifestazione a cui hanno partecipato oltre 130 espositori provenienti da ogni parte del Paese e anche dell’Europa e che ha visto la presenza di quasi 15.000 visitatori: ecco quindi che Esotika Pet Show si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese, visto che conta ormai ben quindici edizioni che si svolgono su tutto il territorio nazionale”. La professionalità e la dedizione degli organizzatori hanno portato infatti alla realizzazione di eventi, gare ed esibizioni che hanno divertito e appassionato il pubblico presente.

“Siamo lieti – insiste l’organizzatore – di annunciare che il prossimo 14 e 15 settembre si terrà la seconda edizione di Arezzo, già sold out per gli espositori che hanno deciso di riconfermare la loro presenza per questa nuova avventura. E siamo fieri del fatto che anche le istituzioni territoriali, come Asl e Carabinieri, hanno riconosciuto l’impeccabile gestione della fiera non riscontrando alcuna irregolarità”. “Arezzo Fiere e Congressi – dichiara a sua volta il presidente di Arezzo Fiere, Ferrer Vannetti – mette volentieri a disposizione le sue strutture per ospitare questa importante manifestazione, che unisce gli appassionati del settore e il rispetto per gli animali nel senso più pieno e compiuto. Un connubio vincente che ci fa già immaginare il successo annunciato dell’edizione del prossimo settembre”

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Cultura

“Esotika Pet Show”: un weekend di festa per la famiglia

Il 24 e 25 febbraio torna ad Arezzo Fiere e Congressi il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia

Redazione Foritalynews

Pubblicato

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Torna ad Arezzo Fiere e Congressi “Esotika Pet Show”, il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia. Appuntamento il 24 e 25 febbraio con un ricco programma di eventi dedicato al mondo dei Pet, per gli operatori del settore ma anche per appassionati e soprattutto per i più piccoli, che potranno conoscere gli animali da vicino e imparare a prendersene cura.

“Anche questa edizione, che verrà riproposta a settembre – spiega Ferrer Vannetti, presidente di Arezzo Fiere e Congressi – sarà una grande festa, dedicata ad appassionati e alle famiglie. I visitatori troveranno un ambiente caratterizzato da diverse tipologie di piante, animali da ammirare e perché no, anche da accudire”. “E’ un evento – spiega ancora Vannetti – che noi di Arezzo Fiere e Congressi, ospitiamo sempre con grande piacere e che testimonia la duttilità espositiva del nostro Ente fieristico. Una ‘due giorni’ rivolta al grande pubblico che esprime, ancora una volta, come sia in atto il definitivo rilancio della Fiera Espositiva, in piena sintonia con le forze produttive, associative e di rappresentanza del nostro territorio a tutti i livelli”.

In riferimento ad Esotika, poi c’è da dire dell’attualità e della pertinenza di questo evento, tenendo conto che il 44,7% delle famiglie italiane vive ormai con almeno un animale domestico. La manifestazione si propone infatti di contribuire alla promozione di una cultura del rispetto verso gli animali domestici e non, grazie alle aree didattico/educative tra cui la “fattoria didattica” e alla presenza di alcuni dei massimi esperti di Acquariofilia, Erpetologia, Entomologia, Ornicultura e così via.

Animeranno la fiera varie esposizioni, da quella internazionale canina, alle dimostrazioni di falconeria, Disc Dog e obedience. Si potranno poi acquistare animali da compagnia, ma anche ammirare pesci, tartarughe, porcellini d’india, pappagalli, carpe Koi, piccoli mammiferi come criceti e ricci, rettili, anfibi e roditori. Tutto questo supportato da sezioni giornaliere di terrascaping e aquascaping.

In fiera si potranno poi trovare le ultime novità del settore per quanto riguarda gli accessori, la mangimistica, i complementi d’arredo e tutto il necessario per la cura degli animali domestici. Un’occasione, quindi, per le famiglie e gli appassionati, di scoprire il fantastico mondo del Pet, ma anche di apprendere il modo più corretto di avvicinarsi e relazionarsi con il proprio piccolo amico e sviluppare ulteriormente con consapevolezza rinnovata la propria passione

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