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Cultura

Quel luogo a me proibito

L’ultimo romanzo di Elisa Ruotolo. Il resoconto di una vita non vissuta. Ammonimenti, divieti, paure “allevate alla stregua dei figli”

Giulia Cardillo Piccolino

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“Obbedire mi aveva rassicurato tenendomi al riparo da ogni scelta, eppure restava dentro un bisogno di vie secondarie. […] Era la fatica di non avere un tempo privato, una famiglia diversa da quella d’origine, figli che ti reclamassero, un uomo cui dare conto e a cui chiederne”. Era, insomma, l’esperienza più cruda che si potesse fare a questo mondo: quella di restare vergini rispetto a ogni mutamento”.

Il resoconto di una vita non vissuta, la risultante di scelte dettate dalla paura e dal bisogno di sicurezza che risiede nelle abitudini.  È questa l’amara consapevolezza maturata dalla protagonista del romanzo “Quel luogo a me proibito” di Elisa Ruotolo: non aver mai vissuto pienamente.

L’autrice dà voce ad un personaggio femminile, costretto a ripercorrere le tappe fondamentali della propria esistenza e fare i conti con le decisioni prese (o meglio non prese), influenzate dalla paura paralizzante del giudizio altrui e dalle convenzioni sociali radicate nel contesto geografico e culturale nel quale cresce.

È l’ultimo romanzo di Elisa Ruotolo, pubblicato recentemente dalla Feltrinelli.  La scrittrice esordisce nel 2010 con una raccolta di storie brevi consolidando il suo successo con il primo romanzo “Ovunque, proteggici”, selezionato per il premio Strega nel 2014 e finalista al premio Internazionale Bottari Lattes Grinzane.

“Quel luogo a me proibito”, un titolo che già da subito offre una chiave di lettura, svelando il tema che sarà il motore dell’intera narrazione: la proibizione.  In un mezzogiorno ancora arretrato sotto alcuni aspetti, una ragazza cresce assorbendo tutti gli insegnamenti di un’educazione rigida e arcaica, che insegna a condannare il desiderio, a fuggire la passione e il piacere, ad evitare il più possibile i rischi.

Il libro è suddiviso in tre parti, ciascuna riguardante una diversa fase della vita della protagonista, la quale, narrando in prima persona, compie un’analisi della sua infanzia e adolescenza, della sua unica esperienza amorosa e la sua successiva dissoluzione, rintracciando in esse l’influenza esercitata dalla famiglia.  

“[…] I miei genitori hanno sempre delegato ai libri e ad estranei la mia educazione, limitandosi a tenermi composta. Ma al mondo non si sta composti, si sta vivi: questo avevano sempre evitato di dirmelo.

Una famiglia umile quella ritratta dalla scrittrice, nella cui casa vige la regola imperante di non creare scandalo e di mantenere un certo ritegno.

In questo microcosmo la protagonista impara che si deve provare vergogna della propria sessualità e che vi sono luoghi del corpo inaccessibili persino tramite i pensieri.

Ad animare le cene sono i discorsi dei genitori che, come dei giudici, condannano chi in paese commetta adulterio o chi si mostri troppo vizioso.

Da tutto questo la giovane protagonista eredita un naturale “godimento all’obbedienza” e un certo pudore che conserverà fino all’età adulta. L’eccessiva protezione della madre e del padre si traduce quindi in un controllo rigido, che avrà come risultato la coerente adesione della donna alle regole e la maturazione della paura verso ciò che si trova fuori dal nido sicuro della sua casa.

Ella si abitua a considerare il mondo esterno come pericoloso e ricco d’insidie e tentazioni; a preferire ciò che si conosce a tutto quel che è nuovo e inaspettato.

Pertanto guarda il mondo da lontano, dipingendo i luoghi a lei sconosciuti come ciò che in realtà non sono, ovvero sporchi e peccaminosi. Come quando, vedendo Napoli per la prima volta, rimane sorpresa nello scoprire una realtà che non ha nulla a che fare con la città pericolosa e angusta che si era immaginata.

 […] non litigare, perderesti ; non alzare la voce: comunque ti ignorerebbero; non ribellarti: ti sottometteranno; proteggiti e non fidarti o ti maltratteranno; resta nel solco, rimani antica: ti giudicherebbero; non cambiare le scarpe comode: ti affaticheresti; il mondo è sporco: non averci a che fare; resta buona: nessuno potrà criticarti; la vita qui, fuori è l’inferno; tu non andare; sii perbene: conta più dell’essere felici; non conoscere le strade di notte: ti smarriresti; non dare spago alla vergogna: la gente saprà; non rischiare: avresti la peggio; non saltare: ti faresti male; non fare niente che sia troppo; misura il passo: non te ne pentirai; non sprecare: risparmia per l’avvenire; il godimento è superfluo , allora non godere; troppa vita fa male, prendila in  piccole dosi, se riesci il meno possibile: è una roba che inquieta e tu non sapresti reggerla.

La giovane, ricevendo continuamente ammonimenti, divieti e paure “allevate alla stregua dei figli”, finisce per crederli giusti e indiscutibili, e rimanere fedele a tutte le lezioni impartite dai genitori, rinunciando a vivere qualsiasi esperienza che non sia conforme ad esse.  

La sua inettitudine, la tendenza a restare ancorata ad una realtà immobile, stagnante, sono il prodotto dell’educazione ricevuta nelle mura familiari.

“Eravamo diversi: lui misurava il tempo secondo i ritmi del proprio corpo, io avevo bisogno degli orologi; lui desiderava vivere senza sperperare i giorni, io mi dibattevo nell’esitazione”.

La conduzione di una vita sicura e monotona sembra arrestarsi con l’ingresso di Andrea che accenderà in lei sensazioni rimaste a lungo nascoste. La relazione amorosa intrecciata con quest’uomo dovrà però fare i conti con l’incapacità della donna di arrendersi, di concedersi a lui e abbandonare tutti i divieti e i rimproveri. Ha quarantadue anni e il suo corpo le è sconosciuto. L’influenza dell’educazione ricevuta è tale da combattere e soffocare gli impulsi più naturali e ardenti del suo animo. Sarà infatti il suo continuo esitare, negandosi ad Andrea, a comprometterne il rapporto e ad allontanarlo da lei per sempre.

Alla fine del libro non vi è un approdo ad una soluzione né un’evoluzione della protagonista che, pur riconoscendo il peso di queste privazioni, vi rimane ancorata.  Ci sembrerà pertanto di aver seguito la storia della ragazza per poi ritrovarla nella stessa condizione in cui l’avevamo trovata nelle pagine iniziali. Pertanto, al termine della lettura percepiremo quell’immobilismo che anima tutta la storia, ma ci sembrerà di avvertire una certa incompletezza, una mancata conclusione, di vedere la storia lasciata in sospeso. Inoltre, sin dalle prime pagine si registra un tono forse troppo patetico e gravoso, che sembra sempre preannunciare la scoperta di un evento traumatico nella sua vita, che in realtà non accade. Le parole utilizzate fanno trapelare una forte sofferenza e crudeltà della sua esistenza che non rintracciamo nelle esperienze riportate nel romanzo, e che si risolvono in un tentativo di autocommiserazione da parte della narratrice. Tuttavia, l’andamento del romanzo è fluido e scorrevole, procede per immagini narrative che l’autrice riesce abilmente a fornire, rendendo la lettura molto piacevole.

Studentessa di scienze politiche e relazioni internazionali presso l'università degli studi di Roma La Sapienza. Avida lettrice e amante dell'arte. Giocatrice a livello agonistico di pallavolo. Il mio sogno è di far "volare" anche le parole per comunicare, informare e, perchè no, magari emozionare.

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Cultura

Esotika: un successo crescente che tornerà a settembre

Con quasi 15.000 visitatori l’evento si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese

Paolo Castiglia

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“A distanza di 3 giorni dalla sua chiusura, l’eco di Esotika Pet Show di Arezzo, il salone nazionale degli animali esotici e da compagnia, riecheggia ancora nelle orecchie degli appassionati”. Sono parole dell’organizzatore Daniel Baiocco, reduce dalle fatiche di questo partecipatissimo evento che si è tenuto presso Arezzo Fiere e Congressi e che ha monopolizzato, con le sua presenze e le brillanti iniziative interne dedicate agli animali, lo scorso weekend aretino e non solo.

“Arezzo – continua Baiocco – ha dimostrato anche stavolta di essere la città che unisce il Nord e il Sud dell’Italia, anche grazie ad una manifestazione a cui hanno partecipato oltre 130 espositori provenienti da ogni parte del Paese e anche dell’Europa e che ha visto la presenza di quasi 15.000 visitatori: ecco quindi che Esotika Pet Show si conferma come una delle più importanti manifestazioni pet del nostro Paese, visto che conta ormai ben quindici edizioni che si svolgono su tutto il territorio nazionale”. La professionalità e la dedizione degli organizzatori hanno portato infatti alla realizzazione di eventi, gare ed esibizioni che hanno divertito e appassionato il pubblico presente.

“Siamo lieti – insiste l’organizzatore – di annunciare che il prossimo 14 e 15 settembre si terrà la seconda edizione di Arezzo, già sold out per gli espositori che hanno deciso di riconfermare la loro presenza per questa nuova avventura. E siamo fieri del fatto che anche le istituzioni territoriali, come Asl e Carabinieri, hanno riconosciuto l’impeccabile gestione della fiera non riscontrando alcuna irregolarità”. “Arezzo Fiere e Congressi – dichiara a sua volta il presidente di Arezzo Fiere, Ferrer Vannetti – mette volentieri a disposizione le sue strutture per ospitare questa importante manifestazione, che unisce gli appassionati del settore e il rispetto per gli animali nel senso più pieno e compiuto. Un connubio vincente che ci fa già immaginare il successo annunciato dell’edizione del prossimo settembre”

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Cultura

“Esotika Pet Show”: un weekend di festa per la famiglia

Il 24 e 25 febbraio torna ad Arezzo Fiere e Congressi il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia

Redazione Foritalynews

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Torna ad Arezzo Fiere e Congressi “Esotika Pet Show”, il Salone Nazionale degli Animali Esotici e da Compagnia. Appuntamento il 24 e 25 febbraio con un ricco programma di eventi dedicato al mondo dei Pet, per gli operatori del settore ma anche per appassionati e soprattutto per i più piccoli, che potranno conoscere gli animali da vicino e imparare a prendersene cura.

“Anche questa edizione, che verrà riproposta a settembre – spiega Ferrer Vannetti, presidente di Arezzo Fiere e Congressi – sarà una grande festa, dedicata ad appassionati e alle famiglie. I visitatori troveranno un ambiente caratterizzato da diverse tipologie di piante, animali da ammirare e perché no, anche da accudire”. “E’ un evento – spiega ancora Vannetti – che noi di Arezzo Fiere e Congressi, ospitiamo sempre con grande piacere e che testimonia la duttilità espositiva del nostro Ente fieristico. Una ‘due giorni’ rivolta al grande pubblico che esprime, ancora una volta, come sia in atto il definitivo rilancio della Fiera Espositiva, in piena sintonia con le forze produttive, associative e di rappresentanza del nostro territorio a tutti i livelli”.

In riferimento ad Esotika, poi c’è da dire dell’attualità e della pertinenza di questo evento, tenendo conto che il 44,7% delle famiglie italiane vive ormai con almeno un animale domestico. La manifestazione si propone infatti di contribuire alla promozione di una cultura del rispetto verso gli animali domestici e non, grazie alle aree didattico/educative tra cui la “fattoria didattica” e alla presenza di alcuni dei massimi esperti di Acquariofilia, Erpetologia, Entomologia, Ornicultura e così via.

Animeranno la fiera varie esposizioni, da quella internazionale canina, alle dimostrazioni di falconeria, Disc Dog e obedience. Si potranno poi acquistare animali da compagnia, ma anche ammirare pesci, tartarughe, porcellini d’india, pappagalli, carpe Koi, piccoli mammiferi come criceti e ricci, rettili, anfibi e roditori. Tutto questo supportato da sezioni giornaliere di terrascaping e aquascaping.

In fiera si potranno poi trovare le ultime novità del settore per quanto riguarda gli accessori, la mangimistica, i complementi d’arredo e tutto il necessario per la cura degli animali domestici. Un’occasione, quindi, per le famiglie e gli appassionati, di scoprire il fantastico mondo del Pet, ma anche di apprendere il modo più corretto di avvicinarsi e relazionarsi con il proprio piccolo amico e sviluppare ulteriormente con consapevolezza rinnovata la propria passione

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Attualità

“Il quarto dito di Clara” indica il dramma degli Schumann

Scritto e diretto da Luca Archibugi, protagonisti Pippo Di Marca e Veronica Zucchi, dal 30 gennaio al 4 febbraio in scena al Teatro Tordinona di Roma

Paolo Castiglia

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L’evento teatrale “Il quarto dito di Clara” è ispirato alla vita e all’opera di Robert e Clara Schumann e al progressivo scivolamento del grande musicista – che alcuni ritengono “il più grande di tutti i tempi” – nella follia, a causa di disturbi nervosi provocati forse dalla sifilide, dall’alcolismo, o da un grave disturbo bipolare, il tutto unito a una melanconia senza rimedio. Robert si fascia l’anulare della mano destra per un lungo periodo, nell’intento di rafforzarlo, ma il quarto dito rimane semiparalizzato. Non gli resta – come ripiego paradossale – che la composizione.

Nel titolo, il quarto dito è quello di Clara: l’autore e regista, infatti, crea un’identificazione fra Robert e Clara Schumann. Nell’opera, accanto a Robert Schumann, emerge una gigantesca figura di donna, Clara Wieck: grande pianista – la più celebre dell’Ottocento – divenuta moglie di Robert, dopo un tormentato amore osteggiato dal padre di lei. Dopo le vessazioni del padre, una volta divenuta moglie, non terminano per lei frustrazioni e dolori. Le viene impedito di suonare il pianoforte quando Schumann compone, di andare in tournée, di dare concerti – ha otto figli – e quando riesce ugualmente ad allontanarsi, il marito si fa prendere dalla malinconia e si dà al bere. Robert viene internato in manicomio e due anni dopo, senza che Clara, che intanto vive sotto lo stesso tetto di Johannes Brahms, sia mai andata a trovarlo, si lascia morire di inedia.

Per gli storiografi, a tutt’oggi, è assai improbabile che la relazione fra Clara Schumann e Johannes Brahms fosse altro che platonica. In questa rappresentazione l’unione di Robert e Clara appare come una sorta di unione mistica. “Il mio personaggio” – spiega una dei due protagonisti, Veronica Zucchi (Clara/Robert), in una recente intervista – è quello di una anonima paziente psichiatrica che ritiene di essere Robert e Clara insieme: vive come ingabbiata in una sorta di amore cristallizzato, esclusivo, che però non è solo una prigione, ma è soprattutto una salvezza, un’illusione salvifica. Ad un certo punto, lo psichiatra che l’ha in cura, Secondo Filetti (Pippo Di Marca), sprofonderà anch’egli in un’illusione di bellezza eterna: “Quel grande amore che lei si è addossata sfida il deperimento, la caducità, e lei, insieme, porta i due amanti in salvo, liberati dal fardello di una vita troppo breve. Io non riesco a guardarla e a rimanere passibile. Lei ha ragione, vorrei sprofondare anch’io in questa illusione (…) E che tutti diventino Clara e Robert, l’amore, l’amicizia, il conforto”.

Ecco, da un lato l’autore e regista Luca Archibugi ha voluto restituire l’eccezionalità di questo amore; dall’altro, tutto il testo è almeno doppio, raddoppiato o, addirittura, triplicato: Clara è anche Robert e l’anonima paziente; lo psichiatra Secondo Filetti è anche – per Clara/Robert – Franz Richarz, lo psichiatra che ebbe in cura Robert Schumann nel manicomio di Endenich.

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