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Vintage evergreen: ottant’anni senza rughe

Collaboratori occasionali

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80 candeline per la prima principessa Disney: Biancaneve

di Elisa Nodale

Specchio, specchio delle mie brame: chi è la più bella del reame? Chissà se a distanza di tanti anni lo specchio risponderebbe ancora “Biancaneve”? La prima principessa Disney nel mese di dicembre spegne 80 candeline e sembra portarseli davvero egregiamente. Snow White and the seven Dwarfs, che si aggiudica due traguardi importantissimi nella storia del cinema, è il primo lungometraggio creato da Walt Disney e anche il primo film d’animazione interamente a colori,  fa il suo debutto il 21 dicembre del 1937 al Carthay Circle Theatre di Los Angeles, luogo in cui viene proiettato in anteprima.

Qualche mese più tardi viene distribuito nelle sale americane e l’8 dicembre dell’anno successivo trova un successo clamoroso in quelle italiane. Il fascino di Biancaneve sembra però essere immune allo scorrere del tempo, infatti, ancora oggi è tra i film d’animazione più redditizi della storia americana, con un incasso che supera i 935 milioni di dollari.

La Disney per l’occasione vuole regalarle un nuovo live action, scritto da Erin Cressida Wilson (la sceneggiatrice del film “La ragazza del treno”). Sono tantissimi i film, le serie tv e le parodie ispirate al personaggio di Biancaneve, che conosciamo grazie alla fiaba dei fratelli Grimm. Varie le versioni che ci sono pervenute, Biancaneve è il frutto di una storia che si tramandava a voce in una tradizione popolare che arricchiva le vicende di una comune ragazza con elementi magici e fantastici.

La narrazione potrebbe essere tratta da accadimenti reali che vedono molte donne sfortunate circuite da familiari malefici che le costringono ad abbandonare una vita agiata per condurne una al limite dell’indigenza. Biancaneve è un cult, è l’emblema di una generazione che percepisce la bellezza nella gentilezza, la virtù estetica si accompagna all’immagine di una donna sensibile che ama la natura e che fa del suo sorriso dolce e della sua voce melodiosa le sue armi di seduzione. Inutile raccontarne la storia, chi non la conosce? Biancaneve è la principessa che sfuggita alle perversioni di una matrigna cattiva viene salvata dal bacio di un principe valoroso che si innamora perdutamente della giovane non appena si incontrano.

Negli ultimi anni forti sono state le critiche mosse al messaggio che passa dalla visione di questo cartone animato e dal ruolo passivo delle protagoniste Disney che non sono artefici del proprio destino ma ragazze indifese che subiscono gli eventi e aspettano la salvezza da un personaggio esterno alla storia che si concretizza con la figura del principe azzurro.

Biancaneve è l’eroina di una volta, dedita alle faccende domestiche e alla famiglia, oggi la società è cambiata, si è raggiunta una consapevolezza diversa della donna e si inneggia alla parità dei sessi -siamo davvero convinti di averla raggiunta?- l’eroina disneyana è indipendente, si salva da sola. Negli ultimi film d’animazione il fulcro del racconto non gira intorno ad una storia d’amore.

Le protagoniste, travolte dagli eventi affrontano le avventure in prima persona: sono forti, coraggiose e prendono in mano le situazioni. Forse è la società odierna a non tenere il passo con queste splendide principesse. Le donne di oggi vengono catalogate in base ad una bellezza stereotipata, labbra carnose, pancia piatta e sederi sodi sono ossessioni che non affliggono solo il genere femminile. C’è un bombardamento mediatico, una televisione della regressione e i nuovi social network incarnano lo specchio magico, sono le vetrine fittizie di corpi e volti perfetti. E allora chi è il più bello del reame? Non c’è una risposta unanime, la bellezza è diversificata, è bello un dettaglio che ci distingue dagli altri in un corpo armonico di una persona che si accetta e sta bene con se stessa.

Ebbene si, Biancaneve è perfetta anche con qualche ruga in più e alle critiche di chi la vede una “donnina” in balia del caso risponde che a salvarle la vita non è il principe azzurro bensì l’amore perché Walt Disney alla base dei film d’animazione ha messo la passione e la dedizione di un padre, poiché le favole servono per insegnare i valori e almeno nelle pellicole la giustizia trionfa sempre. Perché non continuare a sognare?

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Attualità

Festa del Lavoro e Festa della Mamma, un dialogo difficile

Maggio accosta queste due ricorrenze che fanno segnare un ritardo strutturale e culturale

Gloria Gualandi

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Maggio è mese di feste ricche di spunti culturali: il quinto mese dell’anno si apre infatti con la Festa del Lavoro, una ricorrenza molto diffusa in giro per il mondo e meritevole di un approfondimento visto che nella stessa data convergono anche altre celebrazioni in diversi Paesi. Poi la seconda domenica di maggio è dedicata – in Italia e non solo – alla persona più speciale di ogni famiglia: la Mamma.

Proviamo ad accostare questi due temi, ed ecco il quadro della donna al lavoro: abitiamo nel Paese in cui il tasso di occupazione femminile è il più basso d’Europa (55%) e la situazione delle mamme lavoratrici è persino più complessa, considerando che rispetto agli obiettivi dell’Agenda Europea 2030 siamo piuttosto indietro. Per capire come stanno realmente andando le cose e come muoversi al meglio nell’ambiente, la divisione del Labor del Network nazionale di professionisti Partner d’Impresa ha presentato un vademecum per punti sugli strumenti fiscali attualmente a disposizione dell’imprenditore e alcuni consigli su strategie di Welfare. le mamme in azienda rappresentano una risorsa indiscussa per le skills acquisite. Un quadro nazionale che non si confronta con i dati connessi al plus valore che le mamme possono portare in azienda da più punti di vista.

“Innanzitutto va considerato che il primo figlio si fa mediamente sempre più tardi – spiega in un articolo Laura Pozzi, Consulente del lavoro di Partner d’Impresa – intorno ai 33 anni e si parla di gravidanze fino ai 45 anni – dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro”. “Ciò significa – spiega ancora – che le neomadri di oggi sono sempre di più figure aziendali senior. Inoltre, è comprovato che la maternità sviluppi specifiche soft skills, tra cui una maggiore empatia e competenze relazionali”.

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Attualità

Sicilia vacanti Il primo album di Alessandro D’Andrea Calandra

Redazione Foritalynews

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S’intitola “Sicilia vacanti” il primo album dell’agrigentino Alessandro D’Andrea Calandra che con questo lp si affaccia nel modo discografico italiano. Lo fa con un disco scritto in dialetto, dando libero sfogo allo stile musicale che meglio definisce la sua terra natia. Un genere ethno-folk che risente della tradizione culturale siciliana, affondando le radici in un passato remoto fatto di storie da raccontare.

Storie vissute, ascoltate e che, nelle tracce di Sicilia vacanti, diventano quadri cangianti dai colori speziati, spargendo profumi antichi. Pregni di sapori atti a contraddistinguere un’epoca. Storie di immigrazione, di viaggi, di coraggio, di persone che affrontano disavventure ritrovando la loro terra o combattendo per essa.

I brani del nuovo album di Alessandro D’Andrea Calandra danno voce alle persone che nella sua Sicilia hanno vissuto e lottato in questi frangenti musicali. “Sicilia vacanti”; “Èuno”; “L’Isola di Allah”; “Danza saracina chista sira!”; “Federicu (gioia di lu munnu)”; “L’avemooh hoonkya dance”; “Cumpagna Luna”; “Cori fa’ la vovò”; “Si ‘u munnu fussi amuri”; “Cugliemuli sti spichi!” sono la tracklist di un “progetto d’amore”.

Le parole intersecano una musica soave ed etnica, capace di far viaggiare la mente dell’ascoltatore in quei meandri storici. Ci si addentra negli orizzonti dispersi di un passato lontano. Palermo, Agrigento, l’impero bizantino, i Saraceni. Immagini storiche che descrivono un mosaico di suoni pronto ad ergersi difronte a noi mostrando la realtà di un popolo caparbio. Un popolo fiero che ha messo le sue radici in quel tempo e che in quelle immagini rivede sé stesso.

Alessandro D’Andrea Calandra pubblica “Sicilia vacanti”. Un disco inedito fatto di canzoni che, prese nel loro insieme, diventano le splendide figure di unico quadro dipinto a mano dall’artista.

Segui Alessandro D’Andrea Calandra su FB / IG / TT / YT

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Attualità

Primavera, e la moda torna a scegliere il fiore

Da millenni l’abito femminile ha fatto proprio in varie forme questo delicato decoro

Gloria Gualandi

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I vestiti a fiori tornano protagonisti dei look di stagione. Lo segnala Elle, che parla di charme in boccio. Spiega che i vestiti ultra bouquet vanno arricchiti con camperos, tweed e accessori infiorettati a dovere.

La tendenza floreale della moda Primavera Estate sboccia sulle passerelle in uno spettro ampissimo che va dagli abiti stampati – come quello con gonna a corolla di Dior o la creazione Comme des Garçons – all’anturium dress di Loewe in cui l’abito è il fiore stesso. E poi – racconta ancora Elle – ecco vestiti con ricami e applicazioni floreali 3D dal rosso Bottega Veneta al nude dress in stile primavera botticelliana di Acne Studios fino ai boccioli décor che fioriscono sulle tote bag Prada: le collezioni Primavera Estate sulle passerelle interpretano cosi la tendenza floreale.

Guardando indietro nel tempo – come invita a fare dal canto suo Harper Bazaar – la tendenza a integrare i fiori di tessuto nel proprio guardaroba proviene dall’antico Oriente: 1500 anni fa le donne cinesi che frequentavano il Palazzo Imperiale si agghindavano i capelli con preziosi fiori in seta, poi la moda passò alla nobiltà cinese, al Giappone, alla Corea e, infine, grazie all’apertura di nuove rotte mercantili, approdò anche in Occidente. In Italia dei fiori di seta si iniziano ad avere tracce a partire dal XII secolo. Da qui viaggiarono per tutta Europa per poi mettere radici in Francia, prima di tornare a migrare verso l’Inghilterra e poi l’America. Per un po’ di tempo se ne persero le tracce, finché le rosette non iniziarono a comparire sulle scarpe della nobiltà del XVI e XVII secolo, quando l’aristocrazia le accompagnò con fiocchi e nastri sgargianti per decorare l’allacciatura. Godettero poi di un periodo particolarmente florido in età vittoriana, verso la fine del 1800: drammatici e intrisi di una bellezza decadente, i fiori di seta, soprattutto se tinti di nero, si sposarono bene con le atmosfere cupe del tempo e con la moda gotica che iniziò a mettere radici.

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