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Esodo Rohingya

Collaboratori occasionali

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Spenti i riflettori dopo la visita del Papa in Myanmar riprendono persecuzioni e violenze contro la minoranza etnica islamica

di Gabriele Chionni

In Myanmar è in corso una vera e propria pulizia etnica contro la popolazione rohingya, afferma Amnesty International che ha lanciato una campagna di sostegno per i profughi. L’esercito ha bruciato interi villaggi, sparando ad altezza uomo contro persone in fuga dalle fiamme. Mine anti-uomo sono state posizionate lungo il confine.

Nonostante ciò circa la metà dei rohingya ha scelto di rischiare la vita piuttosto che morire di fame. Sono quasi 600.000 le persone che hanno passato la frontiera del Bangladesh e da mesi gli aiuti umanitari non possono arrivare alla popolazione disperata.

Sono trascorse poche settimane dalla visita di papa Franceasco in Birmania dove si era recato proprio per avviare un dialogo con i vertici politici e militari del Paese e discutere della difficile situazione che stanno vivendo i Rohingya, la minoranza islamica che abita nel Myanmar (Birmania).

Da anni infatti questa etnia, che rappresenta la maggior parte dei musulmani birmani, sta subendo le violenze della popolazione birmana (buddista) e dell’esercito. Il governo, complice delle violenze, dagli anni ’70 del secolo scorso non riconosce più i Rohingya come propri cittadini lasciandoli senza una minima tutela. Un rifiuto e una persecuzione tali da definirli “il popolo meno voluto al mondo” e “una delle minoranze più perseguitate al mondo“.

Negli ultimi mesi, come si diceva, circa 600.000 Rohingya sono stati costretti a scappare nel più vicino Bangladesh (paese a maggioranza islamica). Questo anche a causa di alcuni atti terroristici che qualcuno ha ricondotto a soggetti vicini all’etnia Rohingya, che hanno fatto riaccendere le violenze da parte dell’esercito che, se pur da poco tempo, era riuscito a trovare una convivenza semi-pacifica con loro.

In questo contesto, dove appunto si sta consumando un vero e proprio genocidio, si inserisce la visita del Pontefice complessa e delicata, ma di rilevante importanza visto il delicato equilibrio dell’intera area. Più volte, infatti, papa Francesco si è trovato a modificare i propri programmi a causa dell’ostruzionismo e dei timori di alcuni membri del governo e capi militari. Ritrosità e titubanze che hanno trovato conferma anche negli atteggiamenti e nelle riserve, che non poca perplessità hanno suscitato, dei vescovi e dello stesso cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon che aveva raccomandato a papa Francesco di non utilizzare il termine “Rohingya” per evocare la minoranza musulmana birmana, avvertendolo che “sia il governo sia i militari, ma anche la gente comune, soprattutto la Polizia, non gradiscono questo termine” che “ha un’accezione molto politica ed è un termine contestato”. In Myanmar, infatti, questo nome è tabù. La minoranza musulmana dei Rohingya non è mai stata riconosciuta come facente parte delle 135 etnie registrate in Birmania da una legge del 1982, instaurata dalla dittatura militare, che ha reso gli appartenenti a questa etnia, di fatto, apolidi e, per di più, assolutamente non graditi.

Ci si è voluti, forse, mettere a riparo da eventuali incidenti diplomatici visto che già di recente papa Francesco aveva affermato la sua posizione, utilizzando a diverse riprese il termine “Rohingya”: a febbraio, alla fine di un’udienza generale, quando aveva chiesto ai fedeli di pregare “per i nostri fratelli e sorelle Rohingya” che “sono gente buona e pacifica” – e aveva detto – “Non sono cristiani, ma sono nostri buoni fratelli e sorelle. E da anni soffrono: sono torturati, uccisi, semplicemente per aver onorato e rispettato le loro tradizioni e la loro fede musulmana”. E ancora: alla fine di agosto, quando aveva denunciato: “la persecuzione della minoranza dei nostri fratelli Rohingya”.

E, in effetti, nello stesso discorso tenuto nel grande auditorium dell’International Convention Centre, nella nuova capitale del Paese, Nay Pyi Taw, di fronte ai membri del governo del Myanmar, al corpo diplomatico e al Consigliere di Stato e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, papa Francesco non pronuncia mai la parola Rohingya. Ma il riferimento nelle sue parole è chiaro così come l’auspicio per una pace fondata sullo “stato di diritto” e un ordine democratico che consenta a tutti “nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune”.

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Attualità

Creare poesia per promuovere la salute mentale: un progetto della ASL Roma 1

“Think poetic” è un progetto nato durante il primo lockdown del 2020 per non lasciare da soli i pazienti del centro di salute mentale del distretto 13 ASL Roma 1, oggi un laboratorio di poesia aperto anche al pubblico

Marco Matteoli

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“Il nostro obiettivo è promuovere la salute mentale nella comunità attraverso la poesia”. Con queste parole il Dott. Andrea Solfanelli, medico psichiatra e promotore del progetto, descrive “think poetic”, nato nel 2020 per andare incontro ai pazienti del CSM del distretto 13 della ASL Roma 1, rimasti chiusi in casa per il lockdown, o impossibilitati per altro motivo a recarsi fisicamente al centro di salute mentale.

Il progetto è iniziato con la condivisione di poesie autoprodotte attraverso una chat, e successivamente si è esteso, mediante appuntamento mensile, generalmente l’ultimo martedì del mese, nella biblioteca “Casa del Parco” su via Pineta Sacchetti, dove il dott. Solfanelli e la dott.ssa Isabella Cavicchia, infermiera e scrittrice, coordinano questa attività di gruppo, esortando, non solo gli utenti del CSM, ma anche la popolazione del municipio, a scrivere e condividere testi poetici e aprirsi al gruppo senza timore di giudizio. Una volta esposta la composizione, gli altri membri del gruppo possono commentare il brano o semplicemente esporre il proprio, questo permette di creare un flusso poetico che si autoalimenta con il contributo di tutti i membri.

Un progetto semplice e “sovversivo”, che scaturisce dall’esigenza di combattere l’isolamento imposto dal primo lockdown, e dal senso di alienazione vissuto dal 2020 in poi, in uno spazio in cui incontrarsi davvero e superare la solitudine. Si utilizzano le composizioni poetiche per lasciare fluire il proprio inconscio e superare i limiti imposti dalle parole di utilizzo comune; il risultato è trovare poesia anche in ciò che non ci si aspetta, anche nella verbalizzazione di malesseri interiori attraverso metafore, allegorie, iperboli, personificazioni o in qualunque altro tipo di figura retorica in grado di esprimere il non verbalizzabile.

Nel gruppo il flusso poetico è libero e mutevole, e ogni membro che mano a mano si aggiunge porta nuovi spunti, che siano storie, ricordi, aneddoti, sogni, si può parlare di se stessi oppure degli altri, al fine di incoraggiare il pensiero poetico, uno strumento in più a sostegno della salute mentale.

Per informazioni è possibile contattare il tel. 06/45460671 oppure la biblioteca casa del parco.

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A Solferino la fiaccolata dei 160 anni della Croce Rossa Italiana

Come ogni anno, la città di Solferino ha ospitato la fiaccolata dei volontari della Croce Rossa Italiana, quest’anno ad accendere la prima fiaccola è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Marco Matteoli

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Nel silenzio della notte si odono gemiti, sospiri soffocati pieni di angoscia e di sofferenza e voci strazianti che implorano soccorso. chi potrà mai dire le agonie di quella notte spaventosa! […] Non sarebbe opportuno, durante un periodo di pace e di tranquillità, costituire delle società di soccorso, il cui scopo fosse quello di provvedere alla cura dei feriti, in tempo di guerra, per mezzo di volontari solerti, disinteressati e ben qualificati per tale compito?” Con queste parole Jean Henry Dunant, raccontava della battaglia di Solferino e San Martino del 24 giugno 1859, nel pieno della II guerra di indipendenza italiana, all’interno del suo libro intitolato “un ricordo di Solferino”, pubblicato alla fine del 1862.

È proprio nel ricordo dei campi di battaglia, tra urla strazianti e i miasmi della belligerante disumanità che nacque l’idea di un’associazione di volontari, che con carattere di neutralità ed imparzialità potesse essere in grado di soccorrere i feriti sul campo di battaglia, da questa idea nacque, il 15 giugno 1864, a Milano, la Croce Rossa Italiana. Nella 1° Conferenza diplomatica di Ginevra (8-22 agosto 1864), venne poi sancita la neutralità delle strutture e del personale sanitario.

Ancora oggi dopo 160 anni i volontari della Croce Rossa si impegnano, in virtù dei sette principi fondanti, a sostenere i vulnerabili sia in ambito militare che in ambito civile. “Voglio ringraziarla per la sua opera quotidiana nel mettere al centro dell’agenda Internazionale la sua preoccupazione, che è anche la nostra, per i conflitti armati in corso e per la tragedia umanitaria a cui assistiamo” ha detto il presidente della Croce Rossa Italiana Rosario Valastro rivolgendosi al capo dello Stato Sergio Mattarella, che nel pomeriggio del 22 giugno ha dato di persona il via alla fiaccolata a Piazza Castello, Solferino, per onorare i 160 anni della Croce Rossa Italiana.

Nel frattempo, nella stessa giornata del 22 giugno, l’ufficio del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Gaza è stato colpito da proiettili di grosso calibro in seguito a un bombardamento, il quale ha ucciso 25 persone e ne ha ferite almeno 50 , un evento che colpisce allo stomaco i principi stessi di questa associazione, è il caso di dire che “l’umanità si è fermata a Solferino.”

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Attualità

L’uso smodato degli smartphone può causare demenza nei giovani

Dal 2021 sono stati condotti centinaia di studi che correlano un utilizzo smodato e continuativo dello smartphone, superiore alle sette ore al giorno, a una riduzione del volume cerebrale negli adolescenti e nei giovani adulti.

Marco Matteoli

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Attualmente si stima che oltre 6 miliardi di persone sul pianeta utilizzino uno smartphone. Un numero incrementato vertiginosamente dal 2007, dopo la messa sul mercato dell’iPhone e della rivoluzione digitale mobile. Studi scientifici e ricerche biopsicosociali dimostrano che la sovra-stimolazione cronica, soprattutto nei cervelli adolescenziali in via sviluppo, sia correlata a un incrementato rischio di disordini cognitivi, emotivi e comportamentali, sia negli adolescenti che nei giovani adulti. E’ stato dimostrato, inoltre, che la sovraesposizione agli stimoli sensoriali digitali come quelli di smartphone – nello specifico attraverso attività di scrolling afinalistico sui social media soprattutto nei più giovani – determini effetti simili a quelli riscontrati negli adulti affetti da demenza lieve, come difficoltà di concentrazione, amnesia anterograda (difficoltà ad acquisire nuovi ricordi), difficoltà nella socializzazione e disturbi dell’umore.

L’associazione tra l’utilizzo problematico di internet e problemi strutturali della materia grigia cerebrale è stata riscontrata in molteplici studi, quello più importante, della Cambridge University del 2021, [1] ha osservato, che al confronto con una popolazione meno esposta ai social network, gli abusatori di digitale mostrano una significativa riduzione della materia grigia cerebrale in corrispondenza del giro del cingolo anteriore e della corteccia prefrontale dorso laterale. Reperti confermati con l’esame di risonanza magnetica, sia in studi caso controllo che in metanalisi della letteratura [2-3].

Uno studio pubblicato nel 2022 su “journal of integrative neuroscience” [4] ipotizza che il cervello dei ragazzi appartenenti alla Generazione Z (nati tra il 1995 e il 2015) sarà maggiormente soggetto a decadimento cognitivo e demenza in età avanzata rispetto le generazioni antecedenti come i Millennial (nati tra il 1980 e il 1994), la generazione X (nati tra il 1965 e il 1979) e i baby boomers (nati tra il 1945 e il 1964), e si ipotizza che entro il 2060 ci sarà un incremento di circa 4 o 6 volte di demenza precoce e disfunzioni cognitive di grado moderato. L’eccessivo screen time, ovvero un utilizzo dello smartphone superiore alle 6,5 ore al giorno, soprattutto in una popolazione avente il cervello in via di sviluppo, come quella degli adolescenti, può dunque causare veri e propri casi di “demenza digitale”, oltre ad essere associato a un incremento dell’impulsività, craving per il cibo [5], senso di isolamento, riduzione del tono dell’umore, declino della memoria e della plasticità cerebrale, riduzione della soglia dell’attenzione e veri e propri casi di dipendenza dallo strumento. Come ogni dipendenza, tuttavia, è stato anche studiato [6] che almeno sette giorni di “digital detox” possono ridurre il senso di FOMO (Fear of missing out), migliorare il tono dell’umore e le capacità relazionali.

In una società pervasa oramai dall’utilizzo di social media e intelligenza artificiale, è importante ribadire quanto sia necessaria una consapevolezza profonda nell’utilizzo di queste tecnologie, che non vanno demonizzate, tuttavia non deve neanche essere sottovalutato il tangibile rischio di avere, tra vent’anni, una pletora di quarantenni affetti da demenza precoce.

Fonti:

[1] Solly, J.E. et al. (2021) ‘Structural gray matter differences in problematic usage of the internet: A systematic review and meta-analysis’, Molecular Psychiatry, 27(2), pp. 1000–1009.

[2]Montag, C. and Becker, B. (2023) ‘Neuroimaging the effects of smartphone (over-)use on brain function and structure—a review on the current state of MRI-based findings and a roadmap for future research’, Psychoradiology, 3.

[3]Lee, D. et al. (2019) ‘Lateral orbitofrontal gray matter abnormalities in subjects with problematic smartphone use’, Journal of Behavioral Addictions, 8(3), pp. 404–411.

[4] Manwell, L.A. et al. (2022) ‘Digital Dementia in the internet generation: Excessive screen time during brain development will increase the risk of alzheimer’s disease and related dementias in adulthood’, Journal of Integrative Neuroscience, 21(1), p. 028.

[5] Filippone, L., Shankland, R. and Hallez, Q. (2022) ‘The relationships between social media exposure, food craving, cognitive impulsivity and cognitive restraint’, Journal of Eating Disorders, 10(1).

[6] Brown, L. and Kuss, D.J. (2020) ‘Fear of missing out, mental wellbeing, and social connectedness: A seven-day social media abstinence trial’, International Journal of Environmental Research and Public Health, 17(12)

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